Dopo Mafalda

(da La Bottega del Barbieri)

Devo confessare che quando scoprii Mafalda, negli anni Settanta, ero insieme ammirato e infastidito. Capivo bene il perché dell’ammirazione; molto meno quello del fastidio. Io non lo sapevo, ma all’epoca Quino aveva già smesso di disegnare Mafalda, che aveva realizzato dal 1962 sino al ’73. Dopo Mafalda, la sua produzione fu centrata su brevi storie umoristiche, sviluppate su una pagina, senza un personaggio fisso ricorrente. Quando iniziai a conoscere anche quelle, il fastidio sparì. Le trovai meravigliose, sempre centrate, e basta.

Ora, a posteriori, credo di capire perché Quino abbia smesso di disegnare Mafalda, dopo 10 anni di successi nazionali, e con quelli internazionali che stavano iniziando, contravvenendo alla logica commerciale più elementare, secondo cui cavallo che vince non si cambia. La sua spiegazione ufficiale fu che si sentiva a corto di idee. E questa è senz’altro la superficie, vera, ma poco significativa.

Rileggendo Mafalda, con tutta la sua irriverente, spinosa, efficacissima acutezza negativa, non posso fare a meno di percepire oggi ciascuna delle sue strisce come un rigoroso teorema, dove si dimostra la presenza del male a partire da presupposti quotidiani, e sempre con soluzioni originali e sorprendenti. Come dire, il male, more geometrico demonstrato. Che una tale devastante dimostrazione uscisse sempre dalla bocca di una bambina o da un’interazione fra bambini la rendeva ancora più netta e incisiva.

Ma Quino non stava tutto lì. Una cosa che caratterizza le sue produzioni umoristiche successive, non meno graffianti, non meno implicitamente (o esplicitamente) politiche, è un inesauribile fondo di tenerezza per le debolezze umane, sempre presente, sempre intenso. Il male continua a esserci ma ci appare temperato da questa, chiamiamola così, comprensione affettuosa.

Credo che stia in questo la ragione profonda per cui Quino smise di realizzare Mafalda, non trovando più idee. Inventare le strisce di Mafalda vuol dire abitare costantemente nella dimensione del male, inventandone ogni giorno una dimostrazione nuova ed efficace. Vuol dire vivere senza redenzione, con gli occhi spalancati nel fondo dell’abisso.

In una logica stretta e commerciale del successo, Quino avrebbe dovuto proseguire. Visto che qualcuno li apprezza, e ne esiste un mercato, anche il progressismo e la rivoluzione e la critica al capitalismo sono beni commerciabili, su cui ci si può arricchire. Ma Quino decise che il prezzo da pagare per questo successo sarebbe stata troppo alto.

Forse la dimensione della tenerezza era implicita in Mafalda, almeno alle origini, poiché tutto era ambientato in un mondo di bambini. Ma poi, progressivamente, la crudezza sarcastica aveva vinto, in maniera irrimediabile – perché ogni autore rischia sempre di diventare prigioniero del proprio successo, realizzando quello che il suo pubblico vuole da lui.

In nome del bisogno di esprimere la tenerezza, la pietà, la comprensione, Quino cambiò strada, e non sbagliò. Onore al creatore di Mafalda. Onore all’autore che ha saputo abbandonarla.

 

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Recensioni d’annata, 1995. Il buon senso più feroce

Il buon senso più feroce
Il Sole 24 Ore, 26 febbraio 1995

Quino appartiene a quella ristrettissima schiera di autori di fumetti che tutti conoscono. Chi non ricorda il suo nome ricorda comunque quello di Mafalda, così come chi non ricorda il nome di Charles M. Schultz conosce quelli di Charlie Brown e Snoopy, e chi resta perplesso al nome di Hugo Pratt non ha dubbi se sente nominare Corto Maltese. I personaggi dei fumetti (e non solo loro) sono quasi sempre più famosi dei loro autori.

Nel caso di Quino questa considerazione è ancora più significativa, se si pensa che sono più di vent’anni che una nuova striscia di Mafalda non vede la luce. Nel 1973, infatti, Quino decise di abbandonare il suo personaggio, e di dedicarsi ad altro, a fumetti altrettanto decisi e provocatori, ma non legati a un personaggio specifico. Così, quando la fama di Mafalda si diffondeva anche fuori dal mondo di lingua spagnola, Quino non la disegnava già più.

Aveva iniziato a produrre le sue strisce di bambini “sociologici” nel 1964. Nel 1966 in Argentina, il suo paese, Mafalda era già un fumetto così amato dal pubblico da esaurirne le raccolte in libro in poche ore. In Italia arrivò nel 1969, pubblicato in volume da Bompiani, e legò il suo successo agli anni della contestazione studentesca, della quale Mafalda appariva un po’ come un’interprete disincantata e poco propensa a perdersi nell’utopia.

Non era infatti davvero l'”immaginazione al potere” a informare lo spirito di Mafalda. Con i piedi decisamente per terra, il suo sarcasmo colpiva l’ipocrisia di chi finge di non vedere i problemi che ha continuamente sotto gli occhi, e la sua dote principale era un felice – e feroce – buon senso.

Da Mafalda a oggi Quino non ha sostanzialmente cambiato strada, ma nelle innumerevoli storielle satiriche – quasi sempre senza parole – ha costruito un’ironia più sottile, sostituendo alla frecciata verbale della bambina terribile un sarcastico fatto di situazioni tra il patetico e il paradossale. Può forse sembrare un Quino meno arrabbiato, meno pronto a contestare il mondo – ma basta approfondire la lettura per rendersi conto che le cose non stanno così. Forse la dimensione sociologica ha lasciato parzialmente il campo a una dimensione psicologica che in Mafalda aveva uno spazio molto limitato, e la fustigazione dei vizi – caratteristica essenziale di ogni grande umorista – riguarda ora più le persone che i governi o le opinioni diffuse. Ma non possiamo dimenticare che le società sono fatte di persone, e che si può fare – come Quino fa – della satira sociale anche facendo ironia sui comportamenti personali.

Le tavole umoristiche di Quino si trovano pubblicate anche in Italia in mille luoghi. Tra i tanti, possiamo ricordare che appaiono ogni settimana su Comix, e si trovano raccolte in numerosi volumi pubblicati soprattutto da Bompiani (che ha reso disponibile, a varie riprese, anche più o meno tutta Mafalda). Per chi sta a Milano e dintorni è possibile vedere una quarantina di tavole originali (ancora solo per pochi giorni) in una mostra allestita presso il Centro di Promozione Argentina – Consolato Generale di Milano (Corso Venezia 9). Si tratta di lavori degli ultimi dieci anni, accompagnati dalla proiezione di una serie di brevi film di animazione, in cui dopo tanto tempo Quino riprende il suo personaggio storico, e Mafalda torna a vivere – anche se in un diverso medium.

La conoscenza di Quino, e la visita di questa mostra possono costituire l’occasione per una presa di contatto con la cultura argentina, un universo culturale vivacissimo e pieno di fascino, che negli ultimi anni ha regalato all’Europa sensazioni, idee e una montagna di carta stampata.

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di Daniele Barbieri

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