Nel segno della paura. Ricordo di Roland Topor
Il Sole 24 Ore, 20 aprile 1997
Genio del male, nel senso poco usato – ma non meno pregnante – di genio di ciò che fa male, Roland Topor ha cessato in questi giorni di elaborare le sue divertite angoscie, le sue leggerissime tragedie mortali.
Davanti agli occhi abbiamo ancora le immagini di una mostra che Palazzo Reale di Milano gli dedicò dieci anni fa. Pittore? Illustratore? Come pittore, decisamente al di fuori di ogni corrente, se non, come vaga ascendenza o ricordo, il surrealismo. Come illustratore, illustratore di che, se non delle proprie affascinantissime paure?
Narratore per immagini potrebbe essere la sua definizione, che lo accosta implicitamente al mondo del fumetto, da lui poco o per nulla attivamente frequentato, ma oggettivamente vicino a lui, per lo meno in alcuni settori. E narratore Roland Topor lo è anche stato con le parole: autore di racconti tradotti in parte anche in Italia, leggeri e impietosi, cui un romanziere certamente maggiore di lui come Daniel Pennac ha comunque continuato a dovere non poco. E autore di teatro poi, autore di programmi televisivi, regista e scenografo teatrale, per se stesso e per altri.
Anche il cinema lo ricorda, tra l’altro, come coautore (con René Laloux) di un film di animazione premiato a Cannes, Le planet sauvage, inquieto apologo sulla differenza tra razze ambientato in un pianeta fantastico, dove gli uomini vivono un po’ alla stregua dei topi. Più volte attore, richiesto per quel viso sardonico e un po’ mortifero – davvero così in linea con tutta la sua produzione artistica.
Possono forse stupire gli accostamenti creati dall’arte di Topor. Il nome del movimento Frou-frou, da lui sostenuto, può evocare leggerezze e superficialità che in Topor sono tutt’altro che assenti. Ma sono quelle stesse leggerezze che guardate con appena più attenzione lasciano scoprire dettagli che ci fanno correre uno strano brivido lungo la schiena. E’ un po’ qui il cuore, il fascino dell’arte di Topor: quest’aria di prendere poco sul serio le cose, proprio quando queste cose rappresentano le nostre angoscie peggiori.
È lo stesso segno grafico, un po’ desueto, a tradirci. Topor disegna con l’aria di fare degli schizzi, dei bozzetti, delle prove, non di rado semplificando in maniera quasi infantile; così che si è portati a non dare troppo peso, a sottrarre l’occhio con rapidità all’immagine. Poi, come per caso, ci si accorge che l’immagine contiene qualcosa di strano, un particolare fuori posto, un dettaglio che non è come dovrebbe. E allora tutto improvvisamente sembra cambiare significato, e l’occhio che era sul punto di fuggire non riesce più ad abbandonare quelle forme, adesso sì, evidentemente, mostruose.
Come le sue immagini, i suoi testi. Racconti dall’aria innocente, dove con ingannevole tranquillità le nefandezze si susseguono, ora minuscole ora mostruose: sempre senza redenzione.
Cinquantanovenne, una vita di successi, Roland Topor ci lascia oggi a riflettere sui suoi e sui nostri incubi; senza pretendere, nella sua leggerezza, di averci insegnato qualcosa; non so bene quanto consapevole, nella sua intensità, di avere aperto una strada alla rappresentazione visiva di quello che, di solito, siamo appena capaci di nominare a parole.
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