Sola
Bastò che nel tuo plasma
s’ammutinasse un atomo: alzò gorghi
tutta la foce. E crollò la fortezza
di settantasei anni. Fu feroce
il dettato di resa. In un minuto
la tua carne divenne un ectoplasma
dai gesti incomprensibili,
il tuo sguardo un messaggio indecifrabile
come da muto a muto.
Nulla avevamo appreso dalla vita,
nulla, che s’adombrasse in quel linguaggio.
Poi cedettero i gorghi. E tu già stavi
disciolta da noi vivi. Verso incerte
balugini dischiusa. Maturavi
sola – nella placenta della morte.Fernanda Romagnoli, da Il tredicesimo invitato, Garzanti 1980
Quel poco che so di Fernanda Romagnoli lo devo a un’antologia di qualche anno fa: Maledetti italiani, a cura di Davide Brullo, Il saggiatore 2007. So che era nata nel 1916 ed è scomparsa nel 1986, e che ha avuto un attimo di notorietà con la pubblicazione de Il tredicesimo invitato, per poi riscomparire nel nulla. Wikipedia mi informa che Il tredicesimo invitato è stato ristampato da Scheiwiller nel 2003, ma io non sono riuscito a trovarlo. Qualche altra poesia e informazione si può trovare anche qui, ma a me basterebbe questa sola poesia a farmela ricordare, riportata nella antologia di Brullo.
Visionaria, invidio la nettezza con cui vengono enumerate queste metafore eccessive, fantasmagoriche, in cui tuttavia si ritrova una logica, la ferocia di una guerra. Questa idea della morte, la cui componente davvero terribile sarebbe la solitudine a cui ci condanna, è bella e originale. Il nostro corpo, con la sua materia e le sue regole di carne, appare come l’unica via verso il contatto umano.
Io non riesco a non associare questa poesia della Romagnoli con un’altra, che mi è ugualmente molto cara, del delirante gallese Dylan Thomas. Anche qui una morte, anche qui un corpo che si disgrega, anche qui un delirio di fantastiche visioni.
Among those Killed in the Dawn Raid was a Man Aged a Hundred
When the morning was waking over the war
He put on his clothes and stepped out and he died,
The locks yawned loose and a blast blew them wide,
He dropped where he loved on the burst pavement stone
And the funeral grains of the slaughtered floor.
Tell his street on its back he stopped a sun
And the craters of his eyes grew springshots and fire
When all the keys shot from the locks, and rang.
Dig no more for the chains of his grey-haired heart.
The heavenly ambulance drawn by a wound
Assembling waits for the spade’s ring on the cage.
O keep his bones away from the common cart,
The morning is flying on the wings of his age
And a hundred storks perch on the sun’s right hand.
——————–
Fra le vittime dell’incursione all’alba c’era un uomo di cent’anni
Mentre il mattino si svegliava sopra la guerra,
Indossò i suoi vestiti, varcò la soglia, e morì;
Le serrature allentate saltarono a uno scoppio:
Cadde lì dove amò, sul marciapiede esploso,
Nella funebre polvere del suolo massacrato.
Dite alla strada capovolta che egli arrestò un sole
E eruttò fiamme e virgulti dai crateri degli occhi
Quando tutte le chiavi caddero dalle toppe e tintinnarono.
Non scavate più per le catene del suo cuore canuto.
L’ambulanza del cielo tratta da una ferita
Aspetta, radunando, il suono della vanga sulla gabbia.
Oh, tenete lontane le sue ossa da quel carro comune;
Il mattino s’invola sulle ali dei suoi anni
E cento cicogne si posano alla destra del sole.Da Dylan Thomas, Poesie, Einaudi 1965. Trad. di Ariodante Marianni
Con Dylan Thomas sotto il braccio e l’Unità per ripararci dalla pioggia. Grazie.
http://macelleriamarleo.wordpress.com/