Perché mi sono divertito così tanto leggendo Pazza da uccidere, di Jean-Patrick Manchette e Jacques Tardi (Coconino, 2013, trad. Federica Iacobelli)? Di fumetti di Tardi ne ho letti tanti, alcuni memorabili, altri comunque interessanti o divertenti, sempre comunque esemplari quanto a capacità di disegno, sceneggiatura e montaggio. Certo, qui c’è dietro una storia di Manchette decisamente originale e già di per sé piuttosto mozzafiato, ma quello che le dà Tardi non è comunque poco.
Mi limiterò a un esempio, un inizio di sequenza di due pagine, quello riportato qui sopra. Per farla breve, giusto per capire la situazione, la donna e il bambino sono inseguiti da un killer (non vi dirò il perché, dovrete leggere la storia per questo), e hanno trovato protezione presso l’omone che compare nelle prime vignette. Il killer soffre di un’ulcera perforante che gli procura attacchi atroci soprattutto quando è in opera. Tutto è piuttosto estremo, con aspetti paradossali. La missione professionale del killer a una vittima che continua a sfuggirgli è già diventata un’ossessione personale…
Osserviamo ora il segno di Tardi. Possiamo definirlo realistico, mimetico? Per alcuni versi certamente sì. Ma per altri versi, la semplificazione grafica a cui Tardi sottopone le sue figure fa sì che si possano enfatizzare certi tratti senza farli apparire fuori luogo. Guardate la vignetta tonda con il viso stupito della donna in alto nella pagina di destra: è un cerchio che contiene un viso circolare che contiene un cerchio piccolo piccolo (quasi un punto) che è la bocca.
L’economia di segni permette questi giochi. Nessuna bocca realistica è mai così piccola e rotonda. Ma in questo sistema grafico-espressivo la sintesi di Tardi è perfetta, e perfettamente enfatizzata dal duplice inquadramento circolare.
La vignetta tonda con lo stupore della donna si trova poi inquadrata tra due altre vignette, quelle in cui il killer spara al bambino e il bambino tira la freccia verso il killer. Dopo di che, le cose vanno a rovescio: è il bambino a centrare il bersaglio.
Tante cose sono irrealistiche in questa storia, proprio come nel disegno di Tardi. Ma la storia è avvincente proprio per la sua progressione di crescenti improbabilità. Non ci racconta un evento come ci aspetteremmo che accada nel mondo reale, ma un incubo simbolico con aspetti realistici e progressioni paradossali. E non è la vittoria del bene indifeso contro il male armato sino ai denti (un classico hollywoodiano): il bambino di questa storia non è proprio simpatico, e la donna che lo protegge è una psicopatica; mentre del killer, viceversa, vengono mostrate nel corso del racconto talmente tante umane debolezze che una certa simpatia finisce per ispirarcela.
Ecco, in ciascuna vignetta di Tardi è presente, in nuce, nel disegno come nel rapporto con le vignette circostanti, questo sistema di paradossi. Come dire che ogni vignetta è come una cellula nel cui DNA sta scritto il codice dell’intero organismo di cui fa parte; però ne vengono attualizzati in realtà solo quei tratti che le sono al momento narrativamente necessari. Gli altri tratti, pur potendosi rivelare a un’analisi molto attenta, restano impliciti.
Per questo, nel complesso, il sistema appare così coerente. A livello implicito, tutte le vignette danno il senso della storia nel suo complesso; a livello esplicito, ciascuna fa il suo specifico lavoro, raccontando il momento che racconta.
Il resto lo potete scoprire da voi.
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