Degli inchiostri neutri di Geo McManus

Geo McManus, Bringin' up Father, frammento dalla striscia del 6 maggio 1942

Geo McManus, Bringin' up Father, frammento dalla striscia del 6 maggio 1942

Qualche volta, anche un’inchiostrazione neutra può essere utile. Ingrandendo per bene questa immagine, scansionata dall’originale conservato presso il Fondo Gregotti, si può osservare l’inchiostrazione lineare, tradizionale, pulita e regolare di Geo McManus. Da manuale, per certi versi; niente di che, per altri.

Insomma, un’inchiostrazione piuttosto neutra, poco o nulla espressiva in sé. Evidentemente, questa neutralità è voluta, e serve per mettere in evidenza altri aspetti, prima di tutto del disegno stesso, e in seconda istanza delle storie raccontate.

Qui, infatti, come sarà poi in Tintin (anzi, come è già in Tintin, ma per vie del tutto indipendenti) la pulizia del disegno è funzionale a mettere in evidenza gli elementi (figure ed eventi) rilevanti per il racconto, e quindi per la gag. Però McManus (e forse addirittura più di Hergé) ha una sapienza grandissima di disegnatore, e la storia è raccontata quasi del tutto dalle espressioni e dai movimenti dei personaggi.

A quardare questo dettaglio si capisce bene la maestria del disegnatore nel rendere l’affanno e la corsa scomposta del personaggio vestito a scacchi, mentre il nostro “Arcibaldo” è palesemente un perfetto cafone in marsina – persino nell’espressione del viso. Per non dire della deliziosa postura della grassa e gelosa signora sul fondo.

L’inchiostrazione neutra funziona benissimo quando movimenti ed espressioni sono già così caricati all’origine. Per certi versi, quindi, McManus lavora con procedimento opposto a quello di Al Capp, che invece delega proprio alla modulazione della linea gli effetti espressivi, con un dinamismo complessivo delle figure molto minore, e pure una minore enfasi sulle espressioni visive. Ma Capp insegue una sorta di realismo figurativo, che diventa caricatura proprio grazie agli inchiostri un po’ pompati – mentre McManus parte già rappresentando dei fantocci, a cui dà vita la posizione e l’espressione.

Probabilmente, gli inchiostri alla Al Capp sulle matite alla Geo McManus produrrebbero un risultato eccessivo, forzato, squilibrato. Ma non è detto: magari equilibrando in senso opposto qualche altro aspetto ancora, si può riuscire pure così.

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Del fumetto, della sua nascita e dell’Europa del primo Novecento

Geo McManus, <i>Les jeunes mariés</i>, da <i>Nos Loisirs </i>n. 25, 1907

Geo McManus, Les jeunes mariés, da Nos Loisirs n. 25, 1907

Nel post del 29 giugno del suo bel blog, Neuf et demi, Thierry Groensteen ci presenta questa immagine, che lui trae a sua volta da uno studio di Eckart Sackmann e Harald Kien pubblicato nel volume Deutsche Comicforschung 2010. (L’immagine che Thierry ci propone è purtroppo a bassa risoluzione, per cui è inutile cercare di ingrandirla). Si tratta della versione francese di una serie americana, di Geo McManus, The Newlyweds, precedente di qualche anno alla più nota Bringing up Father.

La pagina ci viene proposta come esempio della difficoltà che all’inizio del Novecento i giornali europei hanno, e per parecchi anni continueranno ad avere, ad accettare l’idea di una narrazione fatta principalmente d’immagini. Ma l’esempio in questione è particolarmente interessante perché, a differenza di quello che accade di solito, i balloon non sono stati cancellati, e ciononostante il testo che accompagna le vignette è un testo di dialogo, fatto di battute così esplicitamente teatrali da riportare, qua e là, le stesse note che a volte portano i copioni teatrali stessi: “a parte”, “a se stesso”…

Questo ci fa intuire alcune cose su come doveva essere inteso nella vecchia Europa il nuovo fumetto che proveniva dall’America. Non una narrazione per immagini indipendente, come oramai erà già negli USA, dove la parola fa parte della scena rappresentata, bensì un set di tipo teatrale, dove la parola precede l’immagine ed è comunque più importante, come succedeva chiaramente nel teatro dell’epoca, basato sulla testualità letteraria del copione e sulla sua messa in scena. Visto in questo modo, il teatro non è poi così lontano dal racconto illustrato, con il tramite del cantastorie che racconta a voce alta mostrando le immagini.

Questo modello tutto basato sulla parola scritta è talmente forte da permettere ai lettori di Nos Loisirs di accettare anche una situazione testuale assurda come quella che vediamo qui, in cui ci sono dialoghi che accompagnano le immagini e dialoghi dentro le immagini – senza che si possa capire in che relazione stiano tra loro. È un po’ come se i dialoghi nei balloon facessero parte delle immagini stesse, cioè della parte illustrata, mentre il racconto vero scorre sotto, nelle didascalie.

Questo mi dà ulteriore ragione di pensare che qualcosa di nuovo è davvero successo in America, qualche anno prima, e che il fumetto non poteva nascere in Europa, perché questa è la fine cui sarebbe stato destinato: una versione statica del teatro, una narrazione per immagini, dove la narrazione è inevitabilmente legata alla parola. Forse Outcault e i suoi immediati contemporanei non hanno inventato molto, ma il piccolo passo che hanno fatto non sarebbe mai stato possibile nell’Europa di quegli anni (e di molti anni a venire), troppo letteraria, troppo legata alla parola e alla scrittura.

Mi viene da pensare che, paradossalmente, la fortuna del cinema è di essere nato muto, e di essere stato costretto, per questo, a nascere come arte dell’immagine in movimento, e non del racconto. Se fosse nato con la parola, è piuttosto probabile che in Europa non avrebbe avuto una sorte molto differente da quella del fumetto.

Magari l’America si sarebbe salvata lo stesso. E comunque, quando il sonoro è arrivato, per fortuna, c’era già abbastanza storia per non poter più tornare indietro.

E infine – guarda un po’ – gli anni dell’adozione del balloon in Europa sono grosso modo gli anni dell’invenzione del sonoro nel cinema. Non ci sarà un legame?

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di Daniele Barbieri

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