Dei rumori grafici

C’è un ambito, nel fumetto, che riguarda la scrittura ma non il lettering in senso stretto, ed è quello dei rumori. I rumori appaiono sotto forma di segni di scrittura dalla forte caratterizzazione grafica, con una grande varietà di forme.

Il rumore non è un oggetto del mondo rappresentato, e la natura semiotica della sua espressione nel fumetto è complessa. Un rumore viene tipicamente rappresentato attraverso una sequenza di lettere che, pur essendo di carattere onomatopeico, appare comunque come una parola – magari inventata. In quanto parola, implica la presenza di un senso (che magari può anche semplicemente essere: rumore forte) e soprattutto del suono che la sequenza di lettere evoca, un suono che (a parte quando si tratta di grida) non può davvero corrispondere a quello letteralmente espresso dalle lettere. Il suono espresso dalla parola brakabrakabraka, per esempio, che vediamo qui sotto in una tavola di Frank Miller, sarà dunque interpretato come il suono della mitragliatrice mostrata dall’immagine, un suono caratterizzato – proprio come la sequenza fonetica rinviata dalle nostre lettere – dalla ripetitività di suoni secchi, meccanici ed esplosivi.

Frank Miller, The Dark Knight Returns, 1985

Frank Miller, The Dark Knight Returns, 1985

La parola brakabrakabraka rinvia perciò a una serie di suoni che sono un corrispondente analogico di quelli emessi dalla mitragliatrice. L’analogia messa in scena a livello del suono trova poi riscontro in un’altra costruzione analogica a livello della forma grafica, alla quale è demandato di dare energia alla figura del suono. Così, nei diversi esempi visivi che abbiamo raccolto qui si vede chiaramente come i rumori siano costruiti graficamente in modo da rendere, per analogia, la qualità dei loro corrispondenti sonori evocati.

Ma il rumore forte visivizzato nel fumetto gode di un’altra caratteristica. Il rumore è un elemento di per sé estraneo alla natura visiva del mondo rappresentato (e deve comunque avere, nel fumetto, una rappresentazione visiva), e si tratta di qualcosa che deve caratterizzare un eccesso, poiché il rumore stesso (quando vale la pena di rappresentarlo nel fumetto) è frutto di un eccesso. Per questa sua estraneità alla dimensione figurativa e per questa sua natura eccessiva, il rumore finisce per apparire come un elemento cruciale di caratterizzazione stilistica: ci sono infiniti modi possibili di essere eccessivi nell’inventare la forma visiva di qualcosa che in sé non ha nulla di visivo; e di conseguenza il modo scelto è cruciale per l’individuazione del contesto grafico di riferimento.

Guy Peellaert, Pravda La Survireuse, 1967

Guy Peellaert, Pravda La Survireuse, 1967

Così, i rumori di Peellaert sono coloratissimi e bombati come nella visività psichedelica degli anni Sessanta, e quelli di Bodé sporchi e irregolari; mentre Crepax deve giocare sulla poca deformazione di un carattere lineare bold di ascendenza pubblicitaria, e Scozzari non si allontata dal modello underground di Bodé se non per una molto maggiore ricchezza di espressioni. Miller, infine, fa dei rumori visivi uno dei punti di forza della propria poetica della spettacolarità a tutti i costi, con una continua folgorante serie di invenzioni fonetiche e grafiche, dove non di rado il rumore investe la totalità del campo, ed è l’oggetto che si impone principalmente all’attenzione.

Vaughn Bodé, War Lizards, circa 1970

Vaughn Bodé, War Lizards, circa 1970

Guido Crepax, L'uomo di Harlem, 1978

Guido Crepax, L'uomo di Harlem, 1978

Filippo Scozzari, Nekator Superfly, 1974

Filippo Scozzari, Nekator Superfly, 1974

Frank Miller, Ronin, 1983

Frank Miller, Ronin, 1983

Il racconto – da questi esempi è chiaro – si è mangiato l’immagine: là dove la rappresentazione di un rumore può diventare la totalità di ciò che si vede, è ovvio che si guarda (e si deve guardare, e anche con attenzione) per leggere la storia. Solo nel leggerli come rumori degli eventi della storia i rumori visivi del fumetto ricevono un senso dal proprio essere guardati. Tuttavia, al tempo stesso, essi restano anche delle pure caratterizzazioni grafiche astratte, con una figuratività, perciò, del tutto diversa da quella delle figure del mondo che li attorniano.

Se ignorassimo, o mettessimo sullo sfondo il racconto, certo, allora il rumore grafico si trasformerebbe in uno straordinario oggetto visivo, spesso da godere tramite un puro guardare. Ma non verrebbe più, in tal caso, inteso come un rumore. Eppure, anche se il racconto costituisce il fumetto, sappiamo bene che non lo esaurisce affatto. I rumori grafici sono certo prima di tutto rumori, ma un po’ sono anche favolosi oggetti grafici sospesi nello spazio.

Frank Miller, The Dark Knight Returns, 1985

Frank Miller, The Dark Knight Returns, 1985

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Di Dino Buzzati e Guy Peellaert

Buzzati Poema a fumetti pag.174

Dino Buzzati "Poema a fumetti" pag.174

In un bel post del suo bel blog, Thierry Groensteen celebra Guy Peellaert, autore, nel 1966 e 1968 di due albi che appartengono alla storia del fumetto della migliore qualità, gli unici che abbiano davvero portato nel fumetto l’universo dell’immagine psichedelica.

Guy Peellaert "Jodelle" p.34

Guy Peellaert "Jodelle" p.34

Alla fine del post Groensteen scrive:

Si può rimpiangere che questo stile sia rimasto senza un vero seguito. Dino Buzzati ne trae ispirazione per il suo Poema a fumetti. In Spagna, Eric Sió tenta una sintesi tra pop e realismo fotografico. Touïs (Le Sergent Laterreur) inventa il cartoon psichedelico. Al di là di questi sforzi sparsi, nulla o quasi. Il solo erede lontano di Peellaert al quale io riesca a pensare è Alex Varenne, in alcune delle sue composizioni erotiche.

Adesso che Groensteen l’ha detto, mi domando come ho fatto a non vederlo prima. Peellaert pubblica Jodelle nel 1966 e Pravda nel 1968; Buzzati lavora al Poema a fumetti nel 1968 per pubblicarlo poi nel 1969. Aveva certamente visto Jodelle, e probabilmente anche Pravda.

Dino Buzzati "Poema a fumetti" pagg. 74-75

Dino Buzzati "Poema a fumetti" pagg. 74-75

Sicuramente, quello stile fatto di linee semplici e forti e di forti contrasti era già congeniale a Buzzati ancora prima di incrociare Peellaert, come si può vedere dai suoi dipinti; ma non c’è solo quello a tradire l’ispirazione peellaertiana. L’erotismo ostentato e parodiato dei fumetti di Peellaert viene fuori tutto nel Poema a fumetti, in chiave più melanconica e meno dirompente – ma con la stessa carica provocatoria per la cultura bigotta di quegli anni.

Certo Buzzati non aveva la mano di Peellaert, e il suo viaggio nel fumetto era più da appassionato che da professionista. La sua ispirazione era più classica, indubbiamente. Ma Buzzati ci vedeva bene, e capiva dove prendere quello che gli serviva facendone l’uso migliore per i propri scopi.

Non voglio fare altri commenti. Penso che le immagini bastino.

Guy Peellaert "Pravda" pp.28-29

Guy Peellaert "Pravda" pp.28-29

Dino Buzzati "Poema a fumetti" pagg. 210-211

Dino Buzzati "Poema a fumetti" pagg. 210-211

Guy Peellaert "Jodelle" pag.44

Guy Peellaert "Jodelle" pag.44

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di Daniele Barbieri

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