Ho pensato di ripubblicare qui, a distanza di tre anni, gli articoli già usciti sulla rubrica da me curata, “Figure cifrate” sulla rivista di Laura Scarpa, Scuola di fumetto. Così, a questa distanza di tempo, non le faccio più concorrenza, e magari le faccio invece un po’ di meritata pubblicità. Continuerò con periodicità bimestrale, come quella della rivista, in modo da mantenere il distacco temporale.
Questo mese facciamo un netto salto nel tempo, e torniamo al 1955. È un momento drammatico nella storia del fumetto americano. Per evitare l’approvazione di una legge che poteva essere anche più repressiva, gli editori si inventano il comics code, un codice di autoregolamentazione che garantisce la moralità di quello che viene pubblicato. Ed è un momento drammatico in particolare per le edizioni E.C., che, sino a poco tempo prima, avevano costruito la propria fortuna sui fumetti di guerra dai contenuti crudi e soprattutto sugli horror.
Contenuti crudi e horror non vuol dire necessariamente bassa qualità. Al contrario, sulle testate di William Gaines disegnavano e raccontavano dal 1947 i migliori autori americani di quegli anni, a partire da Harvey Kurtzman, ben da prima di inventarsi Mad, poi, nel 1952. Non solo: Gaines era particolarmente attento a valorizzare i propri autori; ogni storia era firmata, e ogni numero delle varie riviste conteneva una pagina di approfondimento su un autore. Una bella differenza rispetto a quello che succedeva in altre case editrici, come la D.C. per esempio, nei cui fumetti bisognerà aspettare gli anni Ottanta per conoscerne i nomi degli autori!
Nel tentativo di crearsi un nuovo mercato (a parte Mad, che andava a gonfie vele) la E.C. decide dunque di buttarsi sulla qualità, e pubblica nel 1955 diverse nuove testate, chiaramente rivolte a un pubblico adulto e intellettuale. Il tentativo dura in verità pochi mesi. Alla fine Gaines rinuncerà definitivamente e si limiterà a pubblicare Mad.
È sul primo numero di una di queste testate, Impact, che esce la storia “Master Race”, firmata da Bernard Krigstein, di cui potete leggere qui a fianco l’ultima di otto pagine. Va detto, incidentalmente, che si tratta di una delle prime storie a fumetti in cui il tema è l’Olocausto, ma il merito di questo va all’autore del soggetto e dei testi, il capo-redattore Al Feldstein. In verità, Feldstein aveva preparato per Krigstein una struttura rigida di sei pagine, che Krigstein avrebbe dovuto semplicemente riempire con le immagini adeguate. Ma Krigstein non ci sta, non ci si ritrova proprio in quello schema. Dopo molte ambasce creative (e discussioni con Feldstein e Gaines) riesce a ottenere due pagine in più.
Il protagonista della storia è un ex-ufficiale nazista che si è rifatto una vita in America, dove nessuno lo conosce. La storia inizia con lui che sale sulla metro, mentre una voce da flusso di coscienza lo martella con le sue inquietudini e i suoi ricordi. È così che veniamo a sapere le prime notizie su di lui, e, con la disfatta tedesca, della sua fuga in borghese dall’esercito, approdata infine in America.
Alla prima fermata sale un uomo vestito di scuro con la bombetta e si siede leggendo il giornale. L’ex-nazi lo riconosce come qualcuno che potrebbe riconoscerlo, e fargli del male, ma non ne è certo e non sa cosa fare. E qui parte l’ossessione dei ricordi, e vediamo la Germania nazista, e le persecuzioni degli ebrei, e poi i campi di sterminio con le loro atrocità, sino al ricordo specifico, a guerra pressoché finita, con i sovietici alle porte, di un uomo che gli promette minacciosamente che lo ritroverà.
Il flashback si conclude e l’uomo con la bombetta alza gli occhi, riconoscendo effettivamente il tedesco. Questi, spaventatissimo, approfitta della fermata del treno e si butta fuori dalla porta, inseguito dall’altro. È solo adesso che il flusso di coscienza ci fa scoprire che il nostro protagonista era stato addirittura il comandante di un campo di sterminio.
L’inseguimento prosegue nell’ultima pagina, quella che avete davanti agli occhi (se leggete l’inglese non è difficile trovare – con poca ricerca – l’intera storia sul Web). Qui, come vedete, il tedesco scivola, nella sua corsa, su un foglio di carta e cade sui binari proprio mentre arriva il treno, sotto gli occhi dell’altro. Ai passeggeri che scendono e chiedono cos’è successo, l’uomo con la bombetta risponde “Non so. È saltato fuori davanti a me e ha iniziato a correre! Ha attraversato il marciapiede e poi è saltato sotto le ruote del treno che veniva in direzione inversa.” E poi alla domanda “L’aveva mai visto prima”, la risposta è “No! Era un perfetto sconosciuto…”
Credo di non aver mai capito bene cosa intenda dire Boris Battaglia quando sostiene che i fumetti si guardano, non si leggono. Quello di cui però sono convinto è che se non si impara a guardare le pagine (e le vignette), la lettura di un fumetto sarà sempre spaventosamente povera.
A guardare questa pagina, ancora prima di leggerne la sequenza, si vede subito che c’è differenza tra le prime due strisce, basate sulla ripetizione, e la terza, dove la ripetizione non c’è. Ancora prima di iniziare a leggere, sappiamo che l’evento cruciale si consuma nelle prime due strisce. La differenza è ulteriormente marcata dalla differenza cromatica: le prime due strisce sono caratterizzate dall’alternanza tra i colori ocra del vestito del tedesco, i colori freddi del treno e dell’ambiente, il nero dell’uomo con la bombetta; viceversa, la terza striscia, dopo la varietà cromatica della prima vignetta, è una progressione verso il nero.
Leggiamo ora la sequenza. Sino a un attimo prima l’uomo con la bombetta correva anche lui. Qui, invece, è fermo: è diventato un testimone. Ha scatenato gli eventi, ma ora non ne è più parte. Il tedesco fa ormai tutto da solo. L’arrivo del treno, ancora lontano nella prima vignetta, scandisce il tempo, ci dà la misura dei pochissimi secondi che passano.
Si noti, tra l’altro, l’attenzione che Krigstein ha messo nel far sì che le due immagini del treno nelle due prime vignette si trovino esattamente sopra le due immagini nella seconda striscia. È anche così che si fa diventare protagonista il treno; e la vignetta intercalata del tedesco a metà caduta appare avere molto meno peso di quelle precedente e successiva col treno sempre più incombente su di noi.
Mentre nella prima vignetta il testimone è l’uomo con la bombetta, e il punto di vista è sostanzialmente il suo, nella seconda il pdv si è spostato di colpo sotto la piattaforma, uno spazio che appartiene solo al treno; ed è da lì che vediamo l’inizio della caduta, con i piedi già scoordinati e il cappello che vola. Nella seconda striscia il medesimo pdv testimonierà poi sia l’arrivo del treno che la caduta dell’uomo.
Al fantastico rallenty che conclude la prima striscia è di sicuro profondamente debitore il Frank Miller di varie scene di The Dark Knight, prima fra tutte quella del ricordo dell’omicidio dei genitori di Bruce. Osserviamo, qui, come lo sforzo di recuperare l’equilibrio vi appaia progressivamente più disperato, vignetta dopo vignetta. Nell’ultima, poi, il vuoto sopra al nostro uomo è diventato ormai talmente tanto che è evidente che lui appartiene già allo spazio di sotto, quello del treno – come se venisse risucchiato da quella dimensione inferiore che ci è già stata presentata quattro vignette prima. Il montaggio alternato, secchissimo, delle quattro vignette successive, porta la vicenda alla conclusione.
Con l’ultima vignetta della seconda strisce il pdv è tornato all’uomo con la bombetta. La sua figura nera è l’unica ferma contro il treno che ancora si muove. A una ripetizione fortemente ansiogena come quella delle vignette precedenti, si sostituisce qui di colpo una ripetizione emotivamente del tutto neutra: volti, barre delle finestre…
Va notato, tra l’altro, che, a dispetto della sua grandissima efficacia, non è chiaro in che modo questa immagine evochi il movimento del treno. Non è esattamente questo che percepiamo all’arrivo di un treno.
La figura nera dell’uomo con la bombetta collega l’ultima vignetta della seconda striscia con la prima della terza. L’incubo è finito; siamo tornati nel mondo reale. Mi limito a far osservare, qui, la capacità di Krigstein di costruire, in sole tre vignette, questo mondo di oscurità verso cui l’uomo con la bombetta scompare.
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