Un’illustrazione non è una vignetta all’interno di un fumetto. La vignetta è fatta per scorrere, per inserirsi in un flusso di cui rappresenta un momento. L’illustrazione, viceversa, è fatta per trattenere l’attenzione tanto a lungo quanto può. La vignetta è come una singola frase di un racconto, o di un discorso più articolato. L’illustrazione è essa stessa il racconto, il discorso complessivo.
Questo non comporta che la vignetta debba necessariamente essere più semplice, ma la sua complessità deve commisurarsi al suo ruolo nel fluire del contesto. Il fluire complessivo può essere anche lento, se la vignetta si inserisce naturalmente in una sequenza di altre vignette tutte visivamente complesse – ma se si supera una certa soglia di complessità, e ciascuna vignetta ferma troppo l’attenzione per essere decifrata, la storia non fluisce più. Per salvare sia la fluidità che la complessità ci deve essere, nelle vignette, almeno un piano di più semplice lettura, quello che soddisfa l’immediato bisogno di racconto, e permette di proseguire nella lettura. Il lettore sarà consapevole che non ha colto tutto, ma intanto va avanti, e non perde il ritmo – e sa anche benissimo che il testo resta comunque lì, pronto alle mille riletture successive possibili.
L’illustrazione non viene attraversata, e non deve gestire perciò nessuno scorrere. Anzi, più a lungo trattiene l’attenzione del fruitore e più probabilità ha di essere apprezzata. Anche l’illustrazione ha dei limiti alla complessità visiva, legati al suo contesto di apparizione, ma sono limiti assai meno cogenti di quelli della vignetta. In generale, potremmo dire che un’illustrazione può permettersi di essere tanto più complessa quanto più riesce a interessare l’occhio e la mente del suo fruitore.
Molte illustrazioni realizzate da Mattotti (e in particolare gran parte di quelle realizzate per Le Monde) sono costruite su una griglia geometrica in cui dominano le diagonali. Nel mettere in scena il mondo ritualizzato del giapponese Tanizaki, la costruzione geometrica allude inevitabilmente a un certo modo di concepire la vita, e a una particolare eleganza, entrambi caratteristicamente nipponici.
Ma, anche a monte di questo, l’immagine ci prende comunque in due modi. La complessa costruzione geometrica, resa interessante dalla distribuzione dei colori, è già di per sé una ragione di attenzione visiva; ma a essa si aggiunge la magia della scena: l’uomo e il gatto, con le due donne che lo guardano.
Questi due modi sono insieme antagonisti e convergenti: da un lato l’attenzione del fruitore oscilla tra la percezione dell’eleganza formale della composizione e la comprensione della situazione raccontata (per quanto solo per accenni); dall’altro, le quattro figure si inseriscono a loro volta così bene nella composizione da apparirne davvero come parte integrale – quasi delle decorazioni esse stesse.
La realtà raccontata (tridimensionale) si schiaccia sulla costruzione plastica (bidimensionale), mentre la costruzione plastica (piatta) prende profondità e vita psicologica. Alla fine, le stesse relazioni psicologiche accennate tra i personaggi assumono in qualche modo la compostezza geometrica dell’immagine complessiva; e questa a sua volta ci appare carica di senso emotivo.
Potremmo stare lì per ore, e vedere e rivedere queste figure plastiche e narrative, puramente visive e insieme sottilmente emotive. E magari anche questo farci oscillare ha a che fare con l’arte sottile di un narratore giapponese.
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P.S. Mi sa che nelle prossime due settimane questo blog rallenterà un po’ i suoi ritmi. Le feste colpiscono duramente, e anche i blogger si riposano, ogni tanto.
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