Della lettura a episodi (e non)

Evidentemente non è la stessa cosa leggere una storia tutta di un fiato (come di solito facciamo guardando un film), o al massimo con pause che siamo noi a scegliere, anziché leggerla a episodi con cadenza mensile, settimanale, o magari quotidiana. La scansione periodica impone alla lettura una serie di iati, e richiede quindi al lettore che inizia a percorrere un nuovo episodio di ricordare per quanto possibile gli episodi precedenti.

Di conseguenza, evidentemente, non è la stessa cosa scrivere una storia che debba essere letta tutta di un fiato (o con le pause che il lettore stesso si sceglie), e scrivere una storia che debba essere fruita a episodi. Per quanto inserito nel percorso narrativo sia un episodio, esso deve avere anche elementi di autonomia: non deve magari racchiudere un’intera storia, ma deve però racchiuderne una fase che il lettore percepisca come dotata di senso. In altre parole, una buona organizzazione in episodi a uscita periodica non può tagliare il racconto a caso, ma solo in certi tipi di momenti, corrispondenti alla chiusura di fasi narrative: il lettore deve comunque uscire dalla lettura di un episodio con un certo senso di compiutezza – anche se la compiutezza completa richiede la fine della storia.

Questo requisito può valere anche per i capitoli di un romanzo a lettura continuata; ma solo in misura più debole. La divisione in capitoli è infatti solo un suggerimento di interruzione che viene proposto al lettore, il quale può seguirlo oppure no – mentre quando la pubblicazione stessa è a episodi, il lettore non ha scelta.

Sappiamo che la pubblicazione di storie a episodi ha ragioni editoriali e storiche. Dall’epoca del romanzo d’appendice ottocentesco, ogni editore sa che il lettore è spesso più disposto a pagare una cifra minima periodicamente che non una cifra più considerevole una volta tanto. E l’editore sa anche che il medesimo romanzo pubblicato a episodi può poi essere ristampato in volume per raggiungere anche un diverso tipo di pubblico.

Così l’autore di un romanzo a episodi sa che deve rivolgersi a due pubblici diversi, caratterizzati da due modalità di fruizione differenti: periodica l’uno, unitaria l’altro. Dev’essere molto bravo per riuscire a costruire una narrazione in cui gli elementi che servono al primo tipo di pubblico (che ha bisogno di ripetizioni all’inizio di ogni episodio che gli rammentino il già accaduto, e che si attende un qualche tipo di chiusura a ogni fine di episodio) non infastidiscano il secondo (che invece chiede al racconto di fluire, e non ha bisogno di enfatizzare le conclusioni di capitolo). Il bravo narratore, in situazioni di questo genere, è quello che riesce a costruire un ritmo narrativo che regga entrambe le possibili letture.

In subordine, è possibile decidere di privilegiare una situazione rispetto all’altra. Prima che venisse di moda la graphic novel, il fumetto di supereroi americano ha tranquillamente privilegiato la lettura periodica. D’altra parte, tanto per restare nell’universo del fumetto, tante storie pubblicate a suo tempo con scansione settimanale o mensile sono ormai da molti anni fruite solo in modalità unitaria, ed è quasi impossibile dire dove si trovassero le cesure originarie: valga per tutte l’esempio della Ballata del mare salato di Hugo Pratt.

Il migliore esempio a fumetti, però, di scansione a episodi riciclabile in romanzo unitario è sicuramente Watchmen, di Alan Moore. Lo cito anche per inserirmi in una polemica che ho incrociato andando per blog non lontano da qui. Non c’è dubbio infatti che Watchmen sia una miniserie di dodici episodi a scansione mensile, che rispetta pienamente i requisiti del raccontare per episodi. Ma è proprio l’argomento del racconto a permettere a Moore di far sì che il pubblico possa reinterpretare e accettare positivamente la scansione anche in una lettura continuata. “Watchmen” non vuol dire solo “guardiani”, ma anche “uomini dell’orologio”, e la scansione del tempo è il vero leitmotiv, o tormentone, del racconto di Alan Moore. La scansione degli episodi diventa scansione delle fasi narrative nella versione graphic novel, e il ripercorrere continuamente, da diversi punti di vista, i medesimi episodi del passato dei personaggi, assolve alla funzione mnemonica per i lettori periodici, ma introduce comunque continuamente elementi di novità, in modo da essere appassionante anche per il lettore unitario. Il fatto di avere non un protagonista, bensì un gruppo di protagonisti, permette ad ogni episodio di avere una sua unità, essendo centrato su un personaggio specifico – ma questo continua ad avere senso anche quando gli episodi vengono letti di seguito.

Magari proprio lavorando su Watchmen, ci si potrebbe rendere conto che il fascino di questo testo non sta solo nel racconto che contiene, ma anche (e soprattutto) nel modo in cui questo racconto viene disvelato ai lettori (dell’un tipo come dell’altro). Rendersi conto di questo significa già rendersi conto che, per quanto importante il racconto sia, non è che un mezzo, e che il fascino e il senso complessivo di un romanzo si trovano altrove. A parità di racconto, dunque, le diverse modalità di lettura possono produrre effetti di senso molto differenti. Magari ugualmente validi, come nel caso del nostro esempio, ma nondimeno differenti.

In risposta a Marco D., che mi ha mandato un commento al post precedente sollevando il tema di cui si parla qui, posso dire che sì, certo, la natura del formato incide, e come. E bisognerebbe studiarlo di più. Un po’ l’avevo fatto anch’io per il tema della temporalità nel comic book di supereroi, nella mia tesi di dottorato Tempo, immagine, ritmo e racconto, che si può comunque scaricare da qui.

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di Daniele Barbieri

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