Watchmen
Inedito per Il Sole 24 Ore, scritto il 23 gennaio 1994
Nella storia di una forma espressiva, i testi che segnano dei veri punti di svolta sono ovviamente pochi. Le rivoluzioni non sono cose di tutti i giorni, e ancora più rare sono quelle che riescono davvero a cambiare qualcosa nel campo in cui avvengono. A metà degli anni Ottanta il fumetto americano ha assistito alla comparsa di ben due di questi testi cruciali: The Dark Knight Returns di Frank Miller, di cui già abbiamo avuto occasione di parlare su queste pagine, e Watchmen, di Alan Moore e Dave Gibbons. Il primo è un esempio senza precedenti di fumetto del genere supereroi rivolto a un pubblico adulto e attento, con lo spessore di un grande film d’azione, un po’ alla Ridley Scott, attento a problematizzare quello che era sempre stato ovvio e a acutizzare quello che era sempre stato smorzato: un vero gioiello americano, insomma.
Di tutt’altra pasta è invece Watchmen, un testo molto meno spettacolare e graficamente assai meno invitante dell’altro. E a dispetto di questo, un racconto indimenticabile. L’autore, Alan Moore, è inglese, e inglese è la concezione ed è il ritmo di questa storia, lento, scandito, ma inarrestabile. Si incomincia a leggere questa vicenda di eroi mancati e frustrati, oppure riusciti, ma inesorabili figli di puttana, soffermandosi sull’omicidio di uno di loro. Dopo la morte ci sono gli eventi di rito, il compianto, il funerale, la riunione dopo tanto tempo dei colleghi del vecchio gruppo, le indagini della polizia e di un collega irriducibile. La storia si snoda con ingannevole lentezza, soffermandosi, uno dopo l’altro, su tutti i componenti del vecchio gruppo di eroi, scavando nella personalità di ciascuno, nelle piccole manie, nei desideri, nei ricordi. Ci vogliono molte pagine per incominciare a capire che qualcosa di grande e atroce sta nascostamente succedendo e coinvolgendo tutti, assai più di quanto si possa immaginare.
Il testo supera abbondantemente le 300 pagine, e comprende anche sezioni solamente verbali, nella forma di appendici ai vari episodi, presentate con il ruolo di documentazioni sul contesto degli eventi raccontati. La lettura richiede comunque l’impegno di un buon romanzo, e per quanto appassionante essa sia già dalla prima volta, continua a fornire sorprese al lettore che vi faccia ritorno per una seconda o una terza. Watchmen è un testo da leggere e rileggere, come un grande romanzo. Talmente fitto è l’insieme dei rimandi, interni ed esterni, spesso non essenziali alla comprensione della storia ma funzionali a un continuo approfondimento della grande metafora che Moore costruisce, che il lettore si perde con piacere nel labirinto delle simmetrie e delle citazioni.
“Watchmen” significa “guardiani”, ma anche, in modo più lato, “uomini dell’orologio”, e la metafora dell’orologio, del meccanismo complesso in cui tutti i pezzi hanno un’esatta ragione di essere, è sottesa all’intera storia e alla struttura stessa del testo. Moore ci conduce con sottile abilità attraverso questo meccanismo inflessibile e inarrestabile, messo in movimento dal mito stesso dell’eroe, ma anche del salvatore e del redentore, per mostrarci, passo dopo passo, come la catastrofe ne sia l’esito finale. Il miglior superuomo, con le migliori intenzioni nei confronti dell’umanità, sembra dirci Moore, è destinato a compiere azioni che a noi non possono che apparire mostruose. Non è solo il sonno della ragione a produrre mostri, ma anche la sua insonnia, l’incapacità di fermare il susseguirsi delle conseguenze anche quando esse contravvengano ai nostri più elementari principi morali.
In questo senso il romanzo di Moore si pone con una certa rilevanza all’interno di un dibattito sui limiti della ragione e sul pensiero debole, che in America vede un filosofo come Richard Rorty al centro di aspre polemiche. Da buon romanziere, Moore non ci propone soluzioni, ma espone con chiarezza problemi, senza tuttavia che il sottofondo argomentativo del suo testo prenda mai direttamente il sopravvento sul fascino e sul dramma della vicenda umana dei protagonisti.
Pubblicato in Italia a puntate su Corto Maltese già qualche anno fa, ora Watchmen è finalmente in libreria anche per i lettori italiani. Peccato che non sia successo prima.
Alan Moore, Dave Gibbons. Watchmen. Milano, Rizzoli 1993.
…senza dimenticare che Moore aveva già sfornato “V for Vendetta” e, nel 1994, era nel pieno del lavoro per “From Hell”.
Tre opere che, già da sole, basterebbero per assicurargli un posto nella storia.
per non dire dei bellissimi episodi di “Swamp Thing”… È dopo che si è un po’ impastoiato; sempre di qualità, sì, però nemmeno Prometeia era all’altezza di quelle cose là