Surrealismo preso di striscia
Il Sole 24 Ore, 9 luglio 1995
La passione dei surrealisti per il cinema è cosa nota. Ci racconta André Breton come in una fase della sua vita fosse solito trascorrere certe giornate passando da una sala cinematografica all’altra, entrandovi senza sapere che cosa vi si proiettasse, e rimanendo in ciascuna sino a noia (o sazietà). Poco importava che si trattasse di cinema d’autore o di spazzatura: il cinema era amato in quanto tale, per la sua fantastica capacità affabulatoria. Qualcuno del gruppo poi fu anche regista; altri si limitarono, nel corso della propria vita, a continuare a sognare, producendo al più sceneggiature, o anche solo brevi soggetti.
Per la loro brevità e marginalità, molti di questi soggetti, comparsi al più sulle pagine di una rivista, sono nel frattempo stati abbandonati nel dimenticatoio della storia. Ben altro ricordiamo di un Buñuel, di un Vigo, di un Artaud, o di un Savinio. Nemmeno potremmo davvero sperare che qualche produttore illuminato si decida a investire per portare sullo schermo queste piccole vicende assurde e sottili, forse anche troppo segnate dal marchio della propria epoca per poter interessare davvero il pubblico del nostro tempo. E quale regista sfiderebbe questi mostri sacri della cultura delle avanguardie, oggi che persino la parola “avanguardia” ha un che di retro? Senza nascondere che alcune sono francamente irrealizzabili come film.
L’operazione tentata un paio di anni fa dal quotidiano Il Manifesto, e ripresa oggi dalla mostra “Sogni ad occhi aperti. Soggetti surrealisti per il cinema dalla pagina scritta alla pagina disegnata”, appare insieme come una riproposta e un’interpretazione. Per valorizzare dei testi nati per essere tradotti e messi sulla scena non sarebbe sufficiente una riproposizione pura e semplice. Si tratta, a volte, di poco più che un abbozzo di testo, di un’idea nella sua forma iniziale: poche righe di scrittura ancora da elaborare. Alla resa cinematografica poteva essere sostituita un’altra resa visiva e sequenziale insieme, quella del fumetto. E non ci si poteva illudere sul fatto che qualsiasi ripresa si potesse fare oggi di un testo di sessanta anni fa sarebbe stata in ogni caso un’interpretazione e un tradimento.
Ecco dunque il senso di questi dodici omaggi di autori di fumetti ad altrettanti testi di autori surrealisti. Non si tratta di impossibili traduzioni, ma, per così dire, di variazioni sul tema a partire da ciascuno dei testi, non prive di allucinati collegamenti automatici. Abbiamo da un lato Luis Buñuel, Philippe Soupault, Henri Storck, Jean Vigo, Robert Desnos, Antonin Artaud, Jacques B. Brunius, Pierre Albert-Birot, Alberto Savinio, Pierre Prévert, Guillaume Apollinaire e Benjamin Péret. Abbiamo dall’altro Gabriella Giandelli, Giuseppe Palumbo, Onofrio Catacchio, Roberto Baldazzini, Lorenzo Mattotti, Antonio Fara, Spider, Otto Gabos, Menotti, Ottavio Gibertini, Daniele Brolli e Franco Matticchio.
I fumetti, tutti rigorosamente muti e in bianco e nero, sono teorie di immagini accompagnate dal testo originale, interpretazioni, spesso, più che illustrazioni. Il sapore ora onirico, ora sarcastico ora da puro divertissement dei soggetti surrealisti attraversa il mezzo secolo che allontana da noi queste invenzioni e ci viene restituito aggiornato, presente, seppur non indenne da una patina di nostalgico senso dell’altrove. Da sola, basterebbe la struggente, rigorosa, fantastica resa di un testo di Buñuel realizzata da Gabriella Giandelli per giustificare la visita alla mostra, ma tutti gli autori del gruppo ci dicono qualcosa di nuovo sull’autore che hanno scelto.
La mostra, aperta dal 16 giugno al 16 settembre, si trova presso la Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio di Bologna. Realizzata dall’Istituto dei Beni Culturali, dalla Regione Emilia-Romagna e dal Comune di Bologna, è stata curata da Daniele Brolli, Michele Canosa e Franca di Valerio. Un bel catalogo raccoglie le immagini e i testi.
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