Pochi poeti hanno suscitato in altri poeti emozioni profonde come Walt Whitman. L’immagine del bel vecchio con la grande barba grigia è rimasta incistata dentro molti. Forse, al di là della grandezza della sua poesia, è stata cruciale la sua costruzione del mito di un paese giovane e in grande crescita, e la sua capacità di inventare questo mito trascrivendolo con forme nuovissime e potentemente incisive.
Nell’immagine dell’America dell’Ottocento, il paese dell’avventura, della scoperta e della conquista, in cui la novità viene accolta con l’entusiasmo della giovinezza, può essere giovane anche un vecchio, specie questo vecchio; una sorta di Omero del Nuovo Mondo.
Per lo spagnolo García Lorca, nei primi anni Trenta, Whitman può apparire il simbolo del mondo nuovo, alieno, meraviglioso e terribile, che egli sta scoprendo attraverso le maglie del surrealismo, scoprendo pure quanti debiti il surrealismo stesso mostri nei confronti del vecchio poeta.
Per l’americano Ginsberg, a metà dei Cinquanta, Whitman può apparire il simbolo del mondo ugualmente nuovo, ma ormai ridotto a quotidianità, a commercio, a banalità – eppure magari riscopribile nella sua natura profonda proprio attraverso di lui, capitano oh mio capitano.
Non è certo un caso che il tema dell’omosessualità emerga in ambedue i testi, potente e centrale in García Lorca, con la sua condanna della pederastia; accennato ma comunque rilevante in Ginsberg. Per la vita di tutti e tre i poeti il tema dell’omosessualità è stato rilevante: inconfessabile in Whitman, nascosto in García Lorca, pubblico per Ginsberg. Ma quello che in Ginsberg sembra qualcosa di più o meno risolto, in García Lorca è un profondo dramma di differenze, magari specchio delle medesime confusioni (tra omosessuali e pederasti) di cui egli stesso poteva essere stato vittima.
Metto qui questi testi senza altri commenti, perché sono entrambi testi che ho molto amato da molto tempo, e che per coincidenza mi sono ricapitati sotto gli occhi recentemente, scoprendo che alcune delle immagini che nella mia memoria attribuivo all’uno appartenevano invece all’altro. Tra i miti che costruiscono la poesia, c’è indubbiamente anche la poesia stessa, e gli uomini che la fanno – ma i miti vivono attraverso la memoria, e la memoria, spesso, fa quello che crede.
L’Ode a Walt Whitman la leggevo e rileggevo quando avevo quattordici o quindici anni. Non ci capivo niente, e più la rileggevo meno ci capivo, ma non riuscivo a staccarmene, così come tutta la poesia di Lorca del resto.
Quella di Ginsberg invece devo averla letta, ma non ne ricordavo che il titolo (la beat generation non ha fatto parte della mia generazione e mi rimane tutt’ora piuttosto ostica: Ginsberg forse è uno di quelli che digerisco meglio, molto più di Kerouac ad esempio).
E Whitman, comunque, è uno di quelli che ogni tanto torno a sfiorare, senza mai trovare modo di approfondire come vorrei.
Grazie per il post.
Lorca non l’ho mai frequentato ma a sedici anni leggevo e rileggevo Ginsberg; non ci capivo molto anche perché avevo una vaghissima idea di chi fosse Whitman che in seguito provai a leggere capendo anche meno.Più avanti negli anni Whitman è diventato un faro per me mentre l’ode Ginsberghiana l’avevo completamente dimenticata fino a stasera e sono travolto dall’emozione. Grazie.
P.S. Ora che posso leggere in originale mi pare, non me ne voglia nessuno, che la traduzione della Pivano sia un pò scolastica.
Whitman è ostico perché “molto americano” e quindi abituato ad un colloquiale da strada molto lontano dal nostro letterario; procede per ellissi, per visioni, per desideri autoreferenziali; e scrive a lungo e si avverte come la sua formazione sia distante dalla nostra.
Lorca no, di Lorca sono un po’ innamorata , anzi mi sono innamorata nell’adolescenza e ho continuato ad apprezzarlo con più competenza. E’ autoreferenziale, ma visionario, emozionale,…
Quando dici Whitman forse vuoi dire Ginsberg? Sarebbe un lapsus che capirei bene…