Tex, il cinema e i texoni

SettantadiTex: Tex, il cinema e i texoni

SettantadiTex: Tex, il cinema e i texoni

Guido Buzzelli, Magnus ed Enrique Breccia: tre autori non bonelliani che hanno interpretato Tex. L’analisi del loro lavoro sul ranger pare confermare uno degli assunti bonelliani fondamentali: la sceneggiatura è più importante del disegno.

Ho sentito più volte Sergio Bonelli ripetere, in pubblico o in privato, l’idea che per lui il fumetto fosse una sorta di cinema adattato all’universo grafico della stampa. Non doveva pensarla diversamente nemmeno suo padre Gianluigi, tanto più che, all’epoca del suo esordio, i fumetti si chiamavano comunemente “cineromanzi”, e non solo Occhio Cupo ma anche il  che realizzava con Aurelio Galleppini illustrava egregiamente la sua idea: disegno naturalistico, situazioni da film western, abbondanza di dialoghi.

Poi, certo, il fumetto non è il cinema e gli autori di Tex lo sapevano benissimo: il disegno doveva essere naturalistico ma poteva essere sintetico, sopperendo con questa sintesi all’assenza della fotografia in movimento. La sintesi permetteva una lettura più rapida, e di conseguenza sosteneva un ritmo narrativo più rapido, più intenso; addirittura nei rari casi in cui la parola poteva raccontare in maniera più rapida dell’immagine, non si evitava di fare ricorso alle didascalie, che pure nel cinema non hanno spazio. Proprio costruendo questi ritmi narrativi stringenti poteva contare di ricostruire sulla pagina l’effetto cinema; e i dialoghi, pur rallentando un poco l’azione, contribuivano ugualmente a questa ricostruzione.

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Era l’epoca del film western e pure l’epoca in cui il mito americano, non più ostacolato dalle remore del fascismo, poteva dilagare anche in Italia. Come dire che Tex non raccontava davvero il West; raccontava semmai, per disegni e dialoghi, il Western. Sergio Bonelli riferiva anche come fosse suo padre stesso il primo a stupirsi del successo duratura di Tex, quando altri personaggi che uscivano dalla sua fertile penna non raggiungevano spesso l’anno pieno di vita – e anche Occhio Cupo, che pure a Gianluigi era molto più caro, si fermò molto presto.

Difficile definire con certezza le ragioni del successo del personaggio. Quello che è certo è che Tex raggiunge presto una sua specifica modalità narrativa, che rimane sostanzialmente stabile dagli anni Cinquanta sino a oggi: quella che i suoi lettori imparano ad apprezzare e ritrovano mese dopo mese costantemente, identica o quasi pur nella variabilità delle storie. Ci sono situazioni ricorrenti, tipi di dialoghi o addirittura dialoghi specifici (pensate a quello che succede quando Tex e Kit entrano in un ristorante e fanno un’ordinazione), e soprattutto una costanza sostanziale nell’andamento narrativo. Anche attraversando la più complessa delle trame (che in Tex non mancano affatto) il lettore si trova sempre rassicurato dal fatto che le situazioni sono riconoscibili e pure lo sono le modalità della loro risoluzione: leggendo Tex, insomma, ci troviamo lontani, nel selvaggio West, ma siamo sempre ugualmente a casa.

Continua qui, su Lo spazio Bianco.

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Recensioni d’annata, 1997. La storia di Bonelli e di suo figlio ‘Tex’

La storia di Bonelli e di suo figlio ‘Tex’
Il Sole 24 Ore, 23 novembre 1997

Cinquant’anni di Tex sono, non c’è dubbio, un traguardo considerevole. Il primo a stupirsene è lo stesso Sergio Bonelli, sceneggiatore ed editore, figlio di quel Gianluigi che, con Aurelio Galleppini alle matite, creò il personaggio nel 1948. Un personaggio tra i tanti che venivano creati, all’inizio, destinato con ogni probabilità a vivere qualche anno di relativo successo, e poi ad essere dimenticato per sempre.

E invece Tex resse, e poi continuò a reggere, aumentando il suo successo, e iniziando, con il trascorrere degli anni, ad ammantarsi di mito. Sono molti anni ormai che, insieme con Topolino, mantiene la testa delle vendite mensili, e persino in un periodo di crisi del settore come quello che stiamo vivendo oggi i lettori di Tex restano diverse centinaia di migliaia.

Altri personaggi furono creati nel corso del tempo da Sergio, mentre Gianluigi restava fedele al ranger. Zagor (1961) e Mister No (1975) sono quelli che hanno superato la prova degli anni. Ancora altri sono venuti dopo, per opera di sceneggiatori e disegnatori che la scuderia Bonelli ha acquisito o cresciuto: Martin Mystère, di Alfredo Castelli e Giancarlo Alessandrini, è nato nel 1982; Nick Raider, di Claudio Nizzi, nel 1988; Nathan Never, di Medda, Serra e Vigna, nel 1991. Mentre per Bonelli Tiziano Sclavi ha inventato Dylan Dog nel 1986, rilanciando una volta di più le sorti già fortunate dell’azienda.

Ultmi nati, in questi ultimissimi mesi, Magico Vento, di Gianfranco Manfredi (già noto come cantautore e scrittore) e Napoleone, di Carlo Ambrosini.

A Bonelli e alla sua storia è stata dedicata in questi giorni la prima edizione di Padova Fumetto, continuazione ideale di Treviso Comics, un festival molto amato dagli addetti ai lavori. Diverse mostre, dal 5 al 19 ottobre, hanno illustrato la storia e i diversi generi cui i personaggi di Bonelli appartengono, riempiendo il caffè Pedrocchi e altri luoghi storici della città di figure inconsuete. Un convegno, tenutosi l’11 ottobre, ha analizzato il ruolo dei fumetti Bonelli nel costruire numerosi luoghi del nostro immaginario, e, talvolta, anche del nostro linguaggio.

Ne è uscita un’immagine abbastanza atipica di queste creazioni. Magari per pure ragioni di sopravvivenza nel lungo periodo, e forse al solo scopo di trovare variazioni a temi che alla lunga finiscono inevitabilmente per essere monotoni, Sergio Bonelli e i suoi hanno finito per inventare un modo del tutto originale di contaminare e mescolare i generi – non di rado ispirandosi a vicende realmente accadute. E’ stato Giulio Giorello, nel corso del convegno, a evocare un’avventura di Tex in cui lo scontro avviene con dei beduini muniti di cammelli nel deserto del Texas. E’ del tutto legittimo pensare a una bella e fantasiosa mescolanza di generi; ma la storia si ispira a una vicenda realmente accaduta, e i cammelli del deserto texano esistono davvero.

Comunque sia, cinquant’anni di storia della casa editrice milanese hanno lasciato il segno nella cultura e nel comportamento degli italiani. E con Tex, o Dylan Dog o con altri personaggi questa storia pare destinata a durare.

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di Daniele Barbieri

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