La spigolatrice callipigia

Come tante polemiche, anche questa ha i suoi aspetti divertenti, a saperla guardare. La statua è brutta, anche se la donna raffigurata è bella, o perlomeno ha un aspetto che al maschio medio italiano stimola presumibilmente desiderio. Se il suo titolo, invece di essere quello che è, fosse Venere callipigia, non sarebbe probabilmente più riuscita come opera, ma certamente l’intenzione dell’autore sarebbe più apprezzabile; però i finanziamenti pubblici non sarebbero arrivati.

La polemica nasce non sull’operazione “artistica”, ma su quella politica. Sono stati spesi dei soldi pubblici per proporre un’immagine sessista di una donna, una donna immaginaria che nella mediocre poesia originale era decisamente meno sessuata. Qualcuno, per difendere l’autore, ha rivendicato la sessualizzazione di statue famose del passato, per le quali nessuno si lamenta del bel culo messo in mostra – poiché callipigio significa proprio questo, anche se di nuovo nessuno, visitando i musei archeologici, se ne lamenta. Qualcuno ha invocato la libertà dell’artista, dell’ispirazione autoriale.

Ho alcune riflessioni da fare, che non mi sembra aver visto emergere nella polemica.

In primo luogo, la statuaria del passato non fa molto testo. Oltre a essere stata prodotta in epoche in cui il problema non era sentito, della statuaria rimane soprattutto quello che vale qualcosa, indipendentemente dalla qualità dei fondoschiena; perché le opere di scarso valore sono andate più facilmente distrutte, o facilmente giacciono nei magazzini dei musei, e non le guarda nessuno. Il passato, insomma, ci arriva già selezionato; e ogni osservazione su come erano bravi quelli prima di noi si dimentica bellamente di questo.

In secondo e più importante luogo, stiamo parlando di un monumento, non specificamente di un’opera d’arte. Monumenti se ne sono sempre fatti. Sono sempre serviti per celebrare qualcosa che serviva al committente, dall’Eneide (un monumento letterario, scritto da un grande poeta, e finanziato da Augusto) al Marco Aurelio al Gattamelata. Erano opere d’arte? Certo sono rimaste quelle che a noi appaiono tali. Ma non dimentichiamo che l’Arte, come la pensiamo noi, è un’invenzione romantica. Per uno come Michelangelo, che incapace decisamente non era, arte significava semplicemente la capacità di fare, e artista era chi sapeva fare, che poteva anche essere definito, in maniera pressoché equivalente, artigiano. Se Giulio II commissionava a Michelangelo il monumento a se stesso, era perché indubbiamente Michelangelo quella capacità di fare la possedeva più di chiunque altro. Ma l’idea quasi mistica delle capacità di Michelangelo è un’idea che inizia a essere adombrata da Vasari, e si sviluppa pienamente solo nell’Inghilterra del Settecento, contestualmente al successo dell’idea di sublime e agli albori del Romanticismo.

Aggiungiamo che un cavillo filosofico sull’idea della nuda verità ha permesso all’Occidente di sdoganare il nudo nelle belle arti, dribblando la difesa della potente squadra cattolica (ma in Spagna, per esempio, rimaneva proibito); così che le Susanne, le mogli di Putifarre, oltre alle Veneri callipigie, sono fortunosamente proliferate nel nostro immaginario pittorico e statuario.

La nostra callipigia spigolatrice è stata dunque commissionata come monumento, non come opera d’arte, per celebrare retoricamente la simbolica protagonista di una retorica poesia patriottica. Lo testimonia la presenza delle Istituzioni all’inaugurazione, comprensibilmente interessate a sostenere se stesse, persino sfruttando retoriche un po’ fuori moda (ma mai nelle nostre scuole) come quella del Risorgimento – magari sfruttando persino un po’ di pubblicità trasversale come quella che si può ricavare da una polemica (presumibilmente prevista e fomentata).

Ora, certo il punto è che per quella roba lì sono stati spesi (anche) i miei soldi, pure se – mi viene da dire – 17.000 per una statua di bronzo non mi sembrano poi tanti, visti i materiali e il lavoro che richiede (a prescindere dal risultato). Comunque sia, pochi o tanti che siano, i soldi pubblici sono stati spesi per celebrare retoricamente il personaggio di una retorica poesia, al servizio di una retorica nazionalista di cui abbiamo smesso di aver bisogno da molti decenni (e non c’è nemmeno più una Lega Nord a farci venire dei dubbi). Fossero stati 17, gli Euro, probabilmente sarebbero già stati troppi.

Meglio sarebbero stati spesi per una Venere callipigia, o per un Adone callipigio, a scelta: la Callipigia di Sapri (o il Callipigio di Sapri). Un monumento al fondoschiena sarebbe meno retorico, più ironico, più esplicitamente carnale. Non attrarrebbe i politici, in quanto presumibilmente meno in odore di putrefazione. E magari, quindi, potrebbe finire per essere persino esteticamente interessante. A quale pubblica amministrazione andrebbe inoltrata la richiesta?

 

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di Daniele Barbieri

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