Sono incerto, perplesso, un po’ stravolto, come tutti – o almeno come tutti coloro che hanno a cuore quello che aveva a cuore chi era in piazza a Roma ieri. Mi sono letto un sacco di commenti e i lunghi dibattiti su Giap e su DIS.AMB.IGUANDO. Nuovi format, dice Giovanna Cosenza. Sembra indispensabile, a questo punto, visto che fare un corteo con le migliori intenzioni di questo mondo finisce per diventare un terrificante autogoal mediatico, a causa di qualcuno (in buona o cattiva fede, non importa) che crede di essere sulle barricate del 1848 (ma senza i rischi che si correvano allora – una specie di videogame, insomma, dove fondamentalmente si sfoga la propria rabbia, e quindi è bello; e chi se ne frega delle conseguenze politiche tantosonotuttiuguali).
Per chi non pensa che l’importante sia sfogare la rabbia, voglio fare alcune riflessioni ad alta voce.
Perché si manifesta pubblicamente? Per far vedere, credo, che si è in tanti a pensarla a questo modo, e che siccome si è in tanti si ha un peso. Una volta una manifestazione di un milione di persone faceva cadere il governo – presumibilmente perché si presumeva che a un milione di persone che si prendono la briga di esporsi in questo modo ne potevano corrispondere altri dieci che la pensavano così, pur senza poter attivamente partecipare.
Non è più così, oggi. Però dimostrare di essere in tanti, e uniti, e disposti a lottare può comunque avere un peso, e anche se non fa cadere il governo dà certamente più forza a chi vi si oppone. Ma questo succede a patto che chi sta a casa si possa riconoscere in chi sta in piazza. Ora se chi sta in piazza brucia le automobili, e magari proprio la mia, io non mi posso certo riconoscere in lui. La mia personale incazzatura nei confronti del governo non arriverà mai a farmi incendiare l’auto del mio vicino di casa.
Bruciare le automobili, si sa, va a finire in TV e sui giornali molto più che manifestare pacificamente. Per questo chi lo fa toglie la parola a chi manifesta senza violenza, e gli toglie la possibilità di raccogliere quel consenso che (talvolta, o una volta) fa cadere i governi. Ma oggi ha ragione chi dice (un Wu Ming, mi pare, tra gli altri) che non possiamo più sperare in manifestazioni senza episodi come questi, in cortei senza idioti che rovinano tutto. Altri format sono dunque indispensabili. Quello del corteo è bruciato insieme con la camionetta dei carabinieri.
Ma non buttiamo via il bambino insieme con l’acqua sporca. Quello che serve non è sfilare in sé, ma dare una dimostrazione di forza, di compattezza e di grande numero. Una volta, in epoca pretelevisiva, fare un corteo era (quasi) il solo modo per produrre una simile dimostrazione, perché così, sfilando, si attraversavano tanti luoghi, e si veniva visti da tanta gente: insomma, ci si faceva vedere, ci si era. Ma oggi, per farsi vedere, è ancora necessario fare così? In realtà la sfilata, il corteo, è qualcosa che viene fatto perché si fa così, perché abbiamo imparato a fare così, perché una volta (quando non c’erano altri mezzi) questo funzionava.
Ma oggi, in epoca di telecomunicazioni imperanti (non solo TV ma tutto il resto, compreso questo spazio dove scrivo qui), se si vuole dare una dimostrazione di forza, di compattezza e di grande numero, non può bastare, per esempio, il semplice riempire una piazza? Magari ad ascoltare qualcuno che parla, o che suona, o neanche quello: stare lì e basta, con striscioni e slogan, se vogliamo, oppure anche in silenzio (un assordante silenzio). Una manifestazione che sta, invece di muoversi, non può avere delle frange che si allontanano per distruggere: se si allontanano non fanno più parte della manifestazione, per definizione stessa del tipo di manifestazione.
E se invece di riempire una piazza sola, a Roma, se ne riempiono mille, in tutta Italia, tutti a mostrare di esserci, non è che si sembra di meno, per questo. Oggi sono le immagini a sfilare, non i cortei.
Certamente questa, della manifestazione statica, non è l’unica ipotesi possibile. Si può pensare che il Web possa fornire molte valide alternative. Non lo escludo. Ma teniamo presente che l’immagine della prova di forza in campo politico è qualcosa che ha un forte retaggio storico. Faremo fatica a riconoscere come prova di forza qualcosa che non assomigli a quello a cui siamo abituati. E se la gente non la riconosce come tale, quella non è una prova di forza politica; la politica ha bisogno, prima di qualsiasi altra cosa, del pubblico riconoscimento.
Per questo, e senza escludere a priori altre possibilità, l’idea della manifestazione statica (nelle piazze e non per le strade) mi sembra qualcosa di pubblicamente riconoscibile come prova di forza (sufficientemente simile a qualcosa di tradizionale), senza i rischi – ormai non più sopportabili – del corteo, che sfila, e non si può difendere, mediaticamente, di chi vuole giocare ai videogame.
Riflessione che condivido davvero.
Un tempo si parlava di servizio d’ordine, ma ora non sembriamo più in grado di organizzarlo.
L’idea dello statico mi sembra interessante. Non so se risolve. Ma sicuramente ha la qualità del visibile, del mediaticamente rilevante.
E somiglia ai sit-in di sapore gandhiano.
Diffondo il tuo post.
Be’, confesso che un po’ in mente Gandhi ce l’avevo.
E lui ha mandato via gli inglesi, mica Berlusca!
Ciao
db
Diffondo tutto anche io, sono totalmete d’accordo