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Del non pensare all’elefante

Parliamo di Santoro e del suo Raiperunanotte di ieri sera. Giovanna Cosenza ne contesta l’ossessione antiberlusconiana, condividendo l’opinione di Aldo Grasso, e facendoci presente che l’elefante è sempre stato seduto (e progressivamente ogni minuto di più) al centro della conversazione. Il riferimento citato da lei stessa, da George Lakoff, è questo (link e neretti suoi): «Ricordarsi di “non pensare all’elefante”. Se accettate il loro linguaggio e i loro frame [degli avversari] e vi limitate a controbattere, sarete sempre perdenti perché rafforzerete il loro punto di vista» (trovi le altre regole QUI).

Le regole di Lakoff sono sensate, ma sono riferite a un contesto politico in cui la situazione dei contendenti è grosso modo paritaria. È del tutto ragionevole che, in un contesto in cui è possibile non mettere al centro del discorso i valori degli altri, farlo sia una pessima scelta. Ma le cose in Italia non stanno così.

Anche se in Italia ci sono una destra e una sinistra divise da dei valori differenti, la partita non si gioca su questo. Qui abbiamo di fronte un elefante a cui non è possibile non pensare, perché ha colonizzato tutti gli spazi del dialogo con la forza del suo denaro, delle sue televisioni, del suo fascino personale e del suo potere usato senza nessuna remora. Poter non pensare all’elefante sarebbe fantastico, ma è l’elefante stesso che provvede continuamente a far sì che lo pensiamo, e non abbiamo la forza mediatica per opporci a questo!

Non pensare all’elefante potrebbe essere una strategia vincente se fosse una strategia possibile, ma in Italia al momento non lo è. Di conseguenza o siamo destinati sino alla morte dell’elefante a vivere nella condizione dell’infelice metafora luttazziana (già peraltro anticipata da lungo tempo dall’ombrello di Altan), oppure dobbiamo trovare una strategia che permetta di indebolire l’elefante sino a far sì che sia divorato dai suoi stessi complici – dopodiché davvero potremo forse trovarci nella situazione di non pensarlo.

L’elefante è fortissimo, ma traballa. È vecchio. È troppo incazzato. Fa errori. Più è incazzato e più ne fa. Io credo che farlo incazzare sia la strategia migliore. Finché non saranno i suoi a scaricarlo, travolti dall’impossibilità di reggere la sua psicopatia, io credo che per la sinistra in Italia non ci siano speranze. Solo quando questo succederà il gioco tornerà ad assumere le sue regole normali.

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7 comments to Del non pensare all’elefante

  • Non sono d’accordo, mi spiace. È esattamente perché da anni la sinistra fa un ragionamento come quello che qui proponi, che ormai non ha più nulla da dire. Da anni!

    • Semmai la sinistra fa un ragionamento come quello che qui propongo perché non ha nulla da dire (e non viceversa). E credo che la sinistra abbia poco da dire per altre ragioni, e anche perché si ferma a questo punto senza riuscire a capire che è UN punto, ma non IL punto.
      D’altra parte la politica del PD, che in apparenza segue la logica del non colpire l’elefante perché questo lo rafforzerebbe, in realtà non sa pensare ad altro – e non pensa nemmeno a questo. L’effetto complessivo è che sembra che il PD non pensi affatto.
      Allora meglio Santoro e Di Pietro! Non pensano molto neanche loro, ma qualcosa sì.
      L’elefante esiste anche perché c’è questa crisi di valori e di idee. E’ facile dire: risolviamo la crisi! Le rivoluzioni non si fanno a tavolino, nemmeno quelle lente e incruente.
      L’aspirina non uccide i microbi del raffreddore. Si limita a farti sentire meglio. Ma quando ti senti meglio combatti anche meglio il raffreddore.
      In assenza di medicine che davvero uccidano i microbi, anche l’aspirina serve dunque a qualcosa. Medicine vere nell’aria non ne vedo. Per ora sarei contento se l’aspirina facesse fuori l’elefante.

  • Aggiungo al dialogo la segnalazione del post di oggi (27.3.10) di Piovono Rane, che sembra dire qualcosa di molto simile a quello che dico io.

  • L’elefante…

    Ognuno la pensi come vuole, io la penso come Daniele Barbieri. L’elefante è fortissimo, ma traballa. È vecchio. È troppo incazzato. Fa errori. Più è incazzato e più ne fa. Io credo che farlo incazzare sia la strategia migliore. Finché non saranno i suo…

  • davide

    sottoscrivo, mi son rubato la frase e l’ho rilanciata su facebook…

    marco, anche tu qui? come è piccolo il mondo!

    saluti

    Davide Occhicone

  • l’elefante è fortissimo e anche se è un elefante grinzoso, quasi patetico, il suo circo funziona a meraviglia. anche se è un elefante gigantesco, pare che molti non lo vedano: bisogna pure che qualcuno avverta della sua presenza i molti sbadati e i troppi ciechi. l’elefante vorrebbe silenzio attorno a sé: credo che riuscirà ad ottenerlo, prima o poi: ma se parliamo (male) di lui fino alla fine, almeno lo avremo irritato. chissà che non faccia LA mossa sbagliata, quella che lo mostrerà anche agli altri ciechi.
    le tue considerazioni sono opportune: applicare criteri semiologici al phaenomenon va bene, se però non si dimentica che mentre si discetta sui segni, quello intanto si mangia il paese a colazione.
    grazie.

  • m.

    Santoro e Berlusconi, pur nella differenza di ruoli, a volte sono addirittura speculari, basti pensare al giuramento che intendeva emulare ironicamente quello di piazza s. giovanni, quella folla accalcata al paladozza che recitava il giuramento antagonista credendo di prendere per i fondelli il cavaliere in realtà ne seguiva le orme seppur ribaltate.
    Cosa c’è di divertente e soprattutto di buono a farla fuori dal vaso? Nulla, e così quel giuramento a mio parere risultava più goliardico che trasgressivo.
    Fossi stata lì mi sarei sentita in imbarazzo.

    Più in generale santoro come comunica? semplificando proprio come Berlusconi, i suoi servizi sono di grande impatto ma generici e i ragazzetti del pubblico a cui si fanno domande retoriche non rispondono altrettanto retoricamente?

    Lo so è difficile dimenticare l’elefante ma si potrebbe tentare ogni tanto; il fatto è però che incentrare sempre tutto sulla bestia fa aumentare gli ascolti e diverte un pubblico che è ormai segnato da una televisione fatta di becera dialettica dove tutti fanno sempre la solita parte. In quel pubblico mi ci metto anchio, ma vorrei tentare di uscirne.

    M.

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