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Della controversa questione del plagio

Il genere musicale del Notturno fu inventato da John Field (1782-1837), ma fu il “plagiario” Frederik Chopin (1810-1849) a passare alla storia per i suoi Notturni. Basta ascoltarli e non è difficile capire il perché: davvero plagio?

Harold Bloom ha scritto nel 1973 un bellissimo libro (The Anxiety of Influence. A Theory of Poetry) sul difficile rapporto che ogni autore ha con gli autori che lo hanno ispirato: e, ovviamente, degli ispiratori ci sono sempre.

Comparaison Job-McCay

Job vs McCay (da Fumettologicamente)

Riallacciandosi alla polemica di qualche giorno fa sull’origine del fumetto, Matteo Stefanelli rende nota una scoperta sul plagio operato da Winsor McCay nei confronti di (almeno) due autori francesi di qualche anno prima: Rip e Job. Le immagini che vengono mostrate sul suo blog esibiscono una somiglianza che non si può contestare: penso che non ci siano dubbi sul fatto che McCay si sia fortemente ispirato a quelle pagine. Tanto più che, sul suolo americano, le probabilità che qualcuno si accorgesse della somiglianza con una pagina di giornale francese di venti anni prima erano davvero irrilevanti.

Ma fa bene Stefanelli a insistere sul fatto che nulla di tutto questo sminuisce il valore di McCay. Basta osservare la comparazione stessa di immagini che ci dimostra il plagio, per rendersi conto perché McCay sia passato alla storia e Job no.

Continua a essere dominante la convinzione che il cuore di un testo narrativo sia la storia raccontata, e che chi copia la storia copia il testo stesso. A partire da Shakespeare, dunque, gran parte degli scrittori e commediografi di tutte le epoche sarebbero dei plagiari. In verità, la storia raccontata è solo uno degli elementi che contribuiscono al fascino di un’opera, e spesso nemmeno il principale. La medesima storia è interessante nella pagina di Job e favolosa in quella di McCay. E la differenza sta in una concezione radicalmente diversa del rapporto tra sequenza di vignette e spazio della pagina, del tutto tradizionale in Job, ed estremamente innovativo in McCay. (Meglio, da questo punto di vista, il lavoro di Rip: ma l’abisso rimane)

Puntualizzato questo, l’influenza c’è, indubbiamente. E McCay ha indubbiamente visto quei lavori e li ha utilizzati come punto di partenza dei suoi. Il che non sposta di una virgola i termini della polemica sulla nascita del fumetto.

Anzi, forse li sposta. Mi viene voglia di proporre di posticipare di 10 anni la data convenzionale di origine del fumetto, dal 1895 (o ’96) al 1905, anno dell’uscita di Little Nemo. Lì sì che succede qualcosa di nuovo, e non solo nel sistema di produzione e consumo!

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3 comments to Della controversa questione del plagio

  • caro daniele, condivido la necessità di ricordare sempre (anche se a qualcuno può suonare noioso) che il nucleo narrativo non è il vero cuore dell’oggetto, quando si parla di sistemi linguistici complessi, come le forme mediali. Persino uno zuccone come McLuhan lo aveva capito, a suo modo 😉

    Ma soprattutto: apprezzo molto la boutade finale. Non sono daccordo, ma mi ha fatto sinceramente ridere 😉

  • steranko

    Sul tema riporto un intervento di David Monteleoni (Fumettologica, gennaio 2017) che mi è piaciuto molto:

    “Quello dell’originalità come valore dell’arte è un’aberrazione del giudizio estetico introdotta dalla poetica Romantica. L’egemonia culturale dei Romantici durò storicamente solo 50 anni, ma fu longeva abbastanza da deformare i criteri estetici che avevano guidato la creazione artistica e la sua percezione fin dagli esordi, e si insinuò addirittura nella formulazione della legge USA sul copyright, che ribadisce il pregiudizio dell’originalità. La realtà è che non puoi fare arte con l’originalità, tanto che gli stessi Romantici non seguivano i propri precetti (copiavano a man bassa da Milton, il loro mito). Riassunto: prima e dopo i Romantici, e durante, nessun artista è mai stato “originale”. L’arte nasce dall’arte. “Neppure Omero è originale”. (Borges) Col tempo, la poetica Romantica dell’originalità è entrata a far parte dell’ideologia piccolo-borghese, di cui sposa alla perfezione le istanze sicuritarie: questo è permesso, quest’altro no. Il motivo è profondo: la copia e il plagio sono vissuti come una minaccia all’autorità del Padre, autorità che è invece riconfermata dal concetto di originalità. Tutto si tiene: originalità = autorità = Padre = istituzioni = Dio. Per questo, credere all’originalità è reazionario. Gli antichi la sapevano più lunga: per loro, un’opera era tanto più prestigiosa quanto più conteneva riferimenti ai classici. Che non erano certo dichiarati: era una gioia della lettura godersi i rimandi. Lo stesso vale oggi, grazie al modernismo e al postmodernismo. Scandalizzarsi dunque perché un artista riprende e rifà a modo suo, e scandalizzarsene sul web (la cui logica è il remix e l’aggregazione), è come minimo anacronistico. E anche patetico, quando le accuse sono mosse da lettori giovani, che dimostrano in tal modo di aver introiettato la vieta logica piccolo-borghese dell’originalità; di cui fa parte anche il “però” del discorsetto “McCay però ha migliorato Rip”. Quel “però” vuole assolvere chi lo dice dal senso di colpa che nasce in lui dal conflitto fra l’ammirazione per la bravura grafica di McCay e la condanna (introiettata dalla sociocultura piccolo-borghese) del plagio. Come la filosofia, tutta l’arte nasce come incorporazione/ digestione del passato. C’è chi è più bravo a farlo, e chi meno; chi ne è più consapevole, e chi ne è più all’oscuro; chi lo fa in misura maggiore, e chi in misura minore: ma fare diversamente è IMPOSSIBILE. Mettetevelo in testa una volta per tutte. Non è un caso se, oggi, gli artisti più innovativi nella storia delle arti sono accusati di aver plagiato: Omero, Plauto, Dante, Mozart, Shakespeare, Picasso, Lenny Bruce, Dylan. E McCay. Più sono grandi, più hanno incorporato/digerito. Inoltre: siamo così certi che anche Rip non si sia ispirato ad altri? Interroghiamoci piuttosto sul perché qualcuno provi tanta libidine a ritracciare/denunciare i plagi e a connotarlli negativamente. Freud considerava i cacciatori di plagi “omosessuali repressi”. E così torniamo all’originalità come istanza dell’autorità paterna: il cacciatore di plagi ha seri problemi con l’Edipo. Non è di gran lunga preferibile giudicare un’opera in base all’impatto (sincronico e diacronico) sull’arte cui appartiene e sulla socio-cultura? In fondo, è innanzitutto per questo motivo che i più grandi plagiatori nella storia delle arti (Omero, Plauto, Dante, Mozart, Shakespeare, Picasso, Lenny Bruce, Dylan) sono considerati importanti: per l’impatto che hanno avuto su tutti noi, e che non a caso continuano ad avere. A un artista non importa di essere originale, ma di avere impatto. Come ci riesce, sono solo cazzi suoi. Godiamoci il risultato, se ci piace, ed evitiamo di fare gli sceriffi. Non ne abbiamo la stella.”

    • guardareleggere

      Caro Steranko (e anche il tuo nome è, evidentemente, un plagio)
      intanto grazie per avermi fatto conoscere questo intervento interessante.
      Trovo però che qui si pecchi dell’eccesso opposto a quello che, con qualche ragione, si condanna.
      La questione dell’originalità o meno è decisamente spinosa. Se è vero che gli antichi tendevano a sbattersene, e che è responsabilità dei Romantici l’averla legata all'”Arte Vera” (ma la stessa nozione di Arte come la intendiamo oggi è in buona parte di origine romantica), è vero d’altra parte che pure gli antichi avevano motivo di preferire Virgilio ai suoi concorrenti; e se Virgilio raccontava storie comunque note a tutti, citando e “plagiando” a destra e a manca, è evidente che lui le raccontava meglio, e in modo che ancora non si era fatto. Insomma, dato il pur doveroso rispetto della tradizione e dei testi consacrati, Virgilio era un artista decisamente originale – anche quando nessun suo contemporaneo avrebbe collegato l’apprezzamento per la sua opera alla sua originalità.
      D’altra parte, il caso più clamoroso in merito è moderno, di poco pre-romantico. Dai suoi contemporanei, il “vecchio parruccone” Johann Sebastian Bach era considerato un passatista e retrogado; e non avevano nemmeno tutti i torti, perché il vecchio Bach era davvero legato a un passato che stava finendo di passare di moda. Agli occhi (alle orecchie) dei contemporanei appariva molto più gradevole e originale il figlio Karl Philipp Emmanuel, che inventa un genere di grande successo: la musica galante. Il legame esplicito tra qualità artistica e innovatività si sta già imponendo, e il Romanticismo deve ancora arrivare. E, cosa curiosa, quando arriverà scoprirà l’immensa originalità del vecchio Bach, non più nascosta dai meccanismi della moda, che aveva esaltato i suoi figli.
      Quello che non mi va giù proprio per niente è invece l’assimilazione “originalità = autorità = Padre = istituzioni = Dio”. Si potrebbe altrettanto (e forse ancora più) ragionevolmente collegare questa serie di valori non all’originalità ma al rispetto della tradizione (rispetto dell’autorità, del Padre, delle istituzioni, di Dio). Tutto sommato, il mito dell’originalità è coevo (e non casualmente) al mito della rivoluzione, e dell’affermazione della libertà individuale rispetto alle istituzioni – altri regali del Romanticismo (con abbondanti precedenti, certo: ma è poi lì che queste cose si sono affermate davvero).
      Detto questo, è evidente che non si fa nulla, né in arte né altrove, senza basarsi abbondantemente su quello che esiste. Il mito dell’artista che crea dal nulla non sta in piedi neanche con abbondanti stampelle. Ma la differenza tra McCay e Job rimane, e non è un caso che continuiamo a guardare ammirati il primo e ci dimentichiamo dell’altro. L’originalità non sta nel creare dal nulla (cosa che non esiste e non ha nemmeno senso): sta nel dare alle cose un senso che prima non avevano ancora avuto, anche se quelle cose apparentemente sono le stesse che si raccontano da centinaia d’anni (come facevano Virgilio e Omero).
      Questo i veri plagiari è proprio ciò che non sono capaci di fare, limitandosi a spacciarsi per quello che non sono capaci di essere. A chi cerca di creare importa forse di avere impatto, persino, per qualcuno, a costo di imbrogliare. Quello che importa a noi è che un lavoro artistico ci porti a vedere, nel suo piccolo, il mondo (o un suo frammento) in un modo in cui non lo avevamo ancora visto. Se leggiamo Omero o Virgilio, ci accorgiamo che il loro impatto su di noi non è ancora finito: incredibilmente, continuano a essere originali.

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