In attesa di abbandonare Khajuraho, con il treno per Delhi delle 18:20, qui piove, piove, piove, piove. Siamo arrivati ieri mattina verso le 6. Ci siamo sistemati in albergo. Abbiamo fatto colazione, e alle 8 eravamo gia’ a vedere i templi induisti piu’ belli del mondo. Cosi’ vengono presentati, e bisogna dire che la presentazione, eccessiva come tutte le presentazioni, non e’ pero’ molto lontana dal vero.
Effettivamente questi templi sono i piu’ belli che io abbia visto, persino piu’ belli di quelli straordinari del Tamil Nadu. La differenza e’ che la’ ce ne sono tanti, mentre qui nel nord ci sono solo questi. Il resto l’hanno distrutto gli invasori islamici intorno al XII secolo. Questi si sono salvati perche’ stanno fuori dal mondo, all’epoca in mezzo alla jungla, nella quale sono poi rimasti dimenticati sino al 1830, quando qualcuno del luogo ci ha portato un archeologo inglese.
Bellissimi come architetture, straordinarie le sculture. In tutto questo, le troppo celebrate sculture erotiche sono solo la ciliegina su una torta gia’ ricchissima.
Ci abbiamo passato sei ore, e io ci sarei rimasto ancora. Ma morivamo di fame. E poi, mangiando, ha iniziato a piovere, e non ha ancora smesso.
All’inizio ci siamo dimostrati impavidi: mantella impermeabile, e via. Tanto qui la pioggia raramente dura piu’ di mezz’ora. Abbiamo incontrato dei ragazzini, uno dei quali, incredibilmente, parlava un buon italiano; e questo ci ha proposto di visitare il villaggio vecchio, appena piu’ in la’.
Di mezz’ora in mezz’ora la pioggia non solo non smetteva, ma diventava sempre piu’ fitta. Le nostre mantelline si dimostravano molto buone, pero’ alla lunga, iniziavano anche loro a toccare i loro limiti.
Il ragazzino ci ha mostrato il quartiere degli intoccabili e il loro tempio (in campagna le caste sono ancora ben vive!), e poi quello dei commercianti, e poi le case piu’ ricche dei “guerrieri”, e infine quelle dei bramini. Il paese e’ diviso in aree, di vivibilita’ ben differente.
E ci ha portato alla scuola, un piccolo capolavoro di volontariato civile, autofinanziata (anche grazie ai turisti come noi portati li’ da ragazzini come lui), dove si vedevano diverse classi fitte fitte di ragazzi di varie eta’. Non che non esista anche la scuola pubblica, ma la scuola pubblica non ti da’ gli strumenti materiali (quaderni, penne, libri) e molti non hanno i soldi per comperarseli da se’. Per questo preferiscono la scuola dei volontari, dove queste cose ci sono. Li’, ci spiegava orgoglioso ill direttore, non ci sono differenze di casta o di religione o di ceto sociale.
E poi, via. Sotto il diluvio di nuovo, catinelle e catinelle, evitando le docce che scendevano dai tetti. Alla fine abbiamo dato qualche soldo anche al ragazzino e siamo tornati, fradici.
Ieri sera, mio figlio aveva un attacco di dissenteria di quelli da India. Stamattina (dopo anche le notte passata ad assisterlo) mi sono alzato col mal di schiena. E piove. E non abbiamo voglia di uscire da qui sotto l’acqua. Tra poco arriva il riscio’ che ci porta in stazione.
Peccato per il posto con i templi induisti piu’ belli del mondo. Non avevo ancora visto tanta acqua in India, specie da un monsone che virtualmente e’ gia’ finito.
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