La torre con l'ogiva
Un altro dettaglio delle mie città invisibili, preso da qui. Uno scorcio di un’utopia del moderno che potrebbe essere stato progettato da Antonio Sant’Elia o da Erich Mendelsohn, immerso in una caligine da leggenda. Un missile che non partirà mai, ma continuerà per sempre a evocare la propria partenza e il proprio clima primo-novecentesco.
Pure quel dettaglio rosso in basso mi piace. Mi sembra la variazione che mette in moto, visivamente, il tutto.
Anche sulla città dove questo scorcio si trova, e su questa medesima torre, mi sono scappati dei versi. Sono nella seconda delle due poesie che si possono leggere qui (sì, è lo stesso luogo della scorsa settimana).
La città dorata
Le città invisibili, di Italo Calvino, è stato il romanzo della mia adolescenza. Lo è stato perché probabilmente il modo di Calvino di descrivere le sue città immaginarie corrisponde molto bene al mio modo di percepire le città reali. E così, mi rendo anche conto a posteriori che tantissime foto che ho fatto a tanti luoghi visitati nella mia vita rispecchiano quel medesimo spirito, rappresentando perciò le mie personali città invisibili – anzi, piuttosto, quelle visibili, e viste attraverso un occhio innamorato delle storie di Calvino.
Questa foto è stata scattata dall’aereo, all’incirca da qui. Mi piace non solo per la luce incredibile, ma anche per la sua intensa dinamica, che spinge verso destra, dalle nuvole in basso a sinistra, al percorso del fiume, al suo sbocco nel paradiso della luce in alto a destra. Questa immagine mi ha colpito così tanto che, qualche tempo fa, mi ci sono scappati anche dei versi, che si possono leggere qui.
P.S. Non siamo lontani dal luogo mostrato dal post della scorsa settimana. Quella foto era stata presa esattamente da qui.
Modernismo fantastico
No, non è l’India, stavolta. E lascerò indovinare a voi dove ho preso questa foto, che mi piace non solo per l’allineamento diagonale delle guglie, ma anche per l’assurdità di questa architettura, questo modernismo fantastico, o favoloso – che potrebbe crescere così rigoglioso sono in un paese che non abbia sufficiente storia per conto proprio da doversi inventare un mito del presente fatto del passato altrui.
La città dove ho preso questa foto è piena di scorci come questo, così pateticamente e fascinosamente antifunzionalisti, un post-moderno nel cuore stesso del moderno. Si può restare inorriditi, oppure felicemente stupefatti. E si può certo leggere tutto questo come ostentazione di ricchezza, e di gusto passatista.
Ma si può anche pensare che la logica utilitarista che sta alla base del funzionalismo (anche se, nei casi migliori, un utilitarismo utopico, che non ha a che fare in sé col denaro) non sempre è applicabile, o applicata. Non si costruiscono case solo per viverci, o per mostrarci ricchi e potenti. Qualche volta le si fa anche per sognare, o per raccontare sogni. (Scriverne, come fece Calvino, o come faccio più in piccolo io, non sempre basta)
Il cielo a Tiruchirapalli
Scrivendo il post indiano della scorsa settimana ho avuto una intuizione. Vuoi mai che questa mia ossessione per le foto dei luoghi dell’India non sia legata alla mia antica e mai sopita passione per un romanzo di Italo Calvino, Le città invisibili, letto e riletto e amato al punto da aver provato più volte nella mia vita a scrivere le mie personali città invisibili? Vuoi mai che queste sono davvero le mie città invisibili, vale a dire quei luoghi che dispiegano in qualche modo il mio io nascosto, quelli che si raccontano a chi non c’è stato come luoghi favolosi, perché per noi lo sono, e lo sono profondamente?
René Magritte - Empire of Light
Se così fosse, un cielo non sarebbe meno informativo (cioè meno evocativo) dell’architettura sottostante. C’è molto più cielo che architettura umana in questa foto scattata nel Ranganathaswamy Temple a Tiruchirapalli, quasi come in un famoso dipinto di Magritte (a sua volta altra città invisibile, senza dubbio). Lo spazio verde dentro il mandapam in basso sembra appartenere a un mondo diverso dallo spazio bianco-azzurro del cielo.
Eppure, quando ho scattato questa foto, c’erano tutti e due, quegli spazi di fronte a me. E mi piacciono molto anche quelle due frecce bianche a sinistra, che rimandano ai luoghi circostanti, quelli che qui, inevitabilmente, non ci sono, non si vedono. Come al solito, le cose intriganti non sono quelle che ci sono davvero, ma quelle che sembrano poterci essere, sulla base di quelle che ci sono (e anche questo, con altre parole, avrebbe potuto scriverlo Calvino).
(P.S. Magritte, Calvino: non sono il primo a percepire un legame tra loro. Chi progettò nel 1972 la copertina de Le città invisibili vi inserì un altro dipinto di Magritte. O forse la mia evocazione di oggi è soltanto vittima di quella scelta di allora.)
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