Ho pensato di ripubblicare qui, a distanza di due anni, gli articoli già usciti sulla rubrica da me curata, “Figure cifrate” sulla rivista di Laura Scarpa, Scuola di fumetto. Sono molto dispiaciuto che la rivista non ci sia più. Queste riproposte continueranno con frequenza bimestrale sino a esaurimento.
Non ho ancora parlato di Alberto Breccia, in questa rubrica. Non ho ancora parlato di tanti, certo, perché sono troppi gli autori di cui varrebbe la pena di parlare. Però, che mancasse Breccia era davvero una mancanza notevole, di quelle cui, appena te ne accorgi, è indispensabile porre rimedio. Io credo che, insieme a Will Eisner, Alberto Breccia sia stato davvero il maggiore fumettista del XX Secolo. Argentino, anche se nato in Uruguay, di evidenti antenati italiani, la sua vita corre dal 1919 al 1993. L’avevo anche conosciuto di persona un anno prima della sua scomparsa, e gli avevo inviato una copia del mio I linguaggi del fumetto, dopo aver saputo, da amici comuni, che a Lucca mi cercava per chiedermela: un grande onore, per me.
Voglio guardare con voi le due tavole conclusive di una storia del 1976, sceneggiata da un altro grande autore, purtroppo pure lui scomparso, Carlos Trillo (1943-2011). La storia si intitola “Occhio per occhio” e fa parte della serie Un tal Daneri.
Daneri, il protagonista della serie, è un sicario, però è anche un uomo con un singolare eppure profondo senso morale. Da accenni qua e là nella serie, si capisce che una volta era stato qualcuno, prima di ridursi così. Nella storia di cui ci occupiamo, Daneri entra in un locale notturno dall’aria equivoca e, dopo essersi accertato dell’identità del pianista, gli spacca le mani chiudendo di colpo e violentemente la copertura della tastiera. Uscito, mentre cammina da solo per le vie notturne di una città fatiscente, si accorge di essere seguito; ma il suo accenno di difesa quando l’inseguitore si lascia vedere è inutile, perché non c’è intenzione di aggredirlo. Anzi, l’inseguitore dimostra di conoscerlo e di avere persino un’oscura ammirazione per lui. Però gli deve dire come stanno le cose davvero: Julieta, che ha commissionato a Daneri il misfatto, gli ha certamente raccontato che il pianista la tormentava. La verità, invece, era che lei tormentava lui, perché lui aveva osato lasciarla; e lei, forte del suo potere, gli aveva impedito di trovar lavoro ovunque, se non in quel locale di infimo livello – e poi ora anche questo: “La vita è un tale schifo!” è la sua conclusione, prima di andarsene e lasciare Daneri a vagare solo e meditabondo per le strade buie della città.
In questo vagabondaggio pieno di forme quasi sformate, solo un oggetto appare ben definito: il manifesto di una rivista, che ne presenta la copertina mostrando Julieta come viso dell’anno. È poco dopo di questo che il vagabondare di Daneri giunge a termine, e ci ritroviamo con le due tavole finali, che potete leggere qui a fianco.
Osserviamo dunque le prime quattro vignette della prima tavola. Due stili grafici diversi vengono messi a contrasto. Da un lato c’è la figura di Daneri, anziano, quasi informe lui stesso, ma soprattutto disegnato attraverso macchie d’inchiostro incerte e tremolanti, e reticoli di linee altrettanto incerti e complessi a definire le rughe del suo volto. Tutte le pagine che precedono (con l’unica eccezione del manifesto che mostrava Julieta, e alcuni altri manifesti pubblicitari) sono disegnate con questo medesimo stile o qualche sua variante ugualmente “sporca” – e anche per questo la città attraversata da Daneri nella notte appare così fatiscente.
Dall’altro lato c’è Julieta e il suo appartamento. La figura di lei è tracciata con le linee sottili di un pennino su fondo bianco. È una figura giovane ed elegante, con pose da rotocalco. E pure il “lussuoso palazzo in centro” in cui vive è rappresentato con uno stile grafico ben diverso da quello di Daneri e del suo mondo, basandosi fondamentalmente sul collage fotografico, e quindi su linee nette e ben definite, colori uniformi, sfumature di luce… Dal punto di vista grafico, Breccia non fa dunque che ribadire l’opposizione tra i due mondi sui quali si sviluppa il racconto: il bassofondo in cui si aggira Daneri, e l’alta borghesia, la ricchezza, l’agio, in cui vive Julieta.
Ma, a questo punto, sappiamo anche, grazie alla rivelazione dell’inseguitore notturno, che si tratta di un’opposizione di facciata: Julieta non è meno corrotta del mondo a cui si è rivolta per punire il suo ex-amante. La bellezza sua e del mondo in cui vive è una semplice apparenza.
Per questo, una volta concluso il contratto con il pagamento della prestazione, Daneri può vendicarsi per essere stato indotto a compiere la sua missione per mezzo di una menzogna. Così, la sua vendetta: togliere a Julieta il suo bene, quello che le permette di vivere, proprio come lei aveva fatto, per mano di lui, con il pianista: “Le mani servono a un pianista per farsi sentire. Il viso serve a una modella per farsi vedere… Occhio per occhio, diceva la giustizia degli antichi”.
Ed ecco come Breccia mette in scena questa punizione, o vendetta. I pugni di Daneri trasformano Julieta facendola passare dal proprio universo visivo di appartenenza a quello in cui vive lui. Osservate la progressione dall’ultima vignetta della prima pagina alle prime tre della pagina successiva: Daneri vi appare più o meno come era sempre apparso, ma il viso di Julieta si trova ridotto, già nella prima vignetta della seconda pagina, a una macchia; e poiché nella seconda gli resta ancora un po’ di definizione, ecco che nella terza vignetta il pugno di Daneri lo trasforma definitivamente in un grumo di inchiostro.
La trasformazione grafica è quindi una trasformazione morale: la bella Julieta è stata restituita al mondo che le spetta di diritto, quello medesimo di Daneri, il mondo sporco, il mondo che non ha speranza né denaro né una vita degna di questo nome; quello stesso mondo che, una volta superata di nuovo l’apparenza di benessere dell’ingresso dell’edificio, torna ad accogliere Daneri nell’ultima vignetta.
Osserviamo che il racconto ci presenta il mondo di Julieta come un mondo falso; di conseguenza il mondo di Daneri ci appare come quello vero. Un po’ come dire che l’unica verità possibile sta nel mondo dei disperati; è una verità amara, proprio come quelle della giustizia degli antichi. La morale cupissima di questa storia sta proprio in questo: non nella punizione della bella ingannatrice e della sua arroganza, ma nello sconsolato accorgerci che l’unica verità possibile è quella cupa degli esclusi, quelli persino la cui immagine è sporca, incerta, macchiata.
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