Più che in bianco e nero, L’intervista di Manuele Fior sembra una storia a colori dove il colore sia stato lavato via. Sarà la carta accuratamente e molto delicatamente giallino-rosata, o sarà la tecnica raffinata di mezzatinta dell’autore, o sarà il modo narrativo di affrontare i temi, sarà tutto questo o forse qualcos’altro ancora, ma sembra quasi di vederli affiorare qua e là, i colori, quelli che poi – ho controllato con attenzione – in verità non ci sono. (Complimenti anche al tipografo, tra parentesi)
Non so se questa graphic novel piacerà al pubblico quanto la precedente. Strano il tema, strano il modo di raccontarlo, strano il modo in cui si passa alle conclusioni. Un futuro che non è fantascientifico se non per accenni, e sempre in secondo piano, a contatto con una quotidianità che per certi versi è identica alla nostra, e per altri contiene elementi diversissimi, e deflagranti – con persone normali, come me e te, che si trovano improvvisamente di fronte a fenomeni radicalmente nuovi, dei quali i più appariscenti sono quelli che meno influiranno direttamente sulle loro vite – mentre sono proprio quelli che sembrano baggianate a trasformare tutto.
Fior, naturalmente, è il solito: un fantastico disegnatore, un narratore sottile e originale. Eppure questa storia, ambientata in uno scorcio di futuro molto simile al nostro presente che è sul punto di aprirsi a un futuro radicalmente diverso, dove uno psicologo cinquantenne in crisi matrimoniale prova una strana passione per una stranissima giovane paziente, questa storia potrebbe facilmente non piacere, perché sembrerebbe mettere insieme elementi troppo disparati, troppo diversi tra loro: elementi intimi, personali, privati, insieme con elementi globali, futuristici, quasi apocalittici. Ma gli uni sembrano confondersi con gli altri.
In realtà, a legger bene, e magari poi a rileggere ancora, ci si rende conto che Fior basa la sua idea narrativa su una meditazione profonda rispetto al futuro e alle sue prospettive di novità, le quali, in verità sono tali proprio perché non sono proiezioni delle aspettative del presente, bensì piuttosto cose inizialmente incomprensibili, che si tende a rifiutare. Anche il protagonista di questa storia tenderebbe a rifiutare il futuro che gli si para davanti, ma quello che gli succede lo rende impossibile.
Il risultato è una storia sottilmente inquietante, in più casi provocatoria, comunque non facile, comunque tutt’altro che ovvia. In questo senso anche l’assenza del colore è una (inquietante) presenza dell’assenza del colore – perché sembra quasi sempre di vederlo, il colore, e le figure sono inchiostrate come se ci fosse; e se ci fosse sarebbe una liberazione; ma la liberazione non c’è. A dire il vero è persino difficile dire se la storia abbia un lieto fine oppure no. La vicenda si conclude; ma che morale dobbiamo trarne? Non è una vicenda di redenzione, o di educazione sentimentale. Non è insomma, una storia morale – ma nemmeno una storia immorale, ovviamente. È come – di nuovo – se Fior ci volesse mettere di fronte alla difficoltà di comprendere il futuro, che non è, una volta tanto, quello che è di solito nelle storie di fantascienza, ovvero una proiezione delle tendenze del presente, arricchito di qualche meraviglia tecnologica (ma nessuno, nella fantascienza storica di qualche decennio fa, aveva previsto il PC e il Web – per la semplice ragione che, nelle tendenze dell’epoca, non c’era nulla che li suggerisse o li facesse aspettare).
“Inquietante” descrive benissimo la sensazione che ho provato leggendo la storia.
O, ancor meglio, “straniante”, “spiazzante”, perché è una storia che di continuo crea aspettative che poi, scientemente, delude.
Ma, soprattutto, quello che mi colpisce di Fior (e che fa per me il suo vero fascino) è il modo in cui riesce a rendere quel sottile flusso di avvenimenti impalpabili che costituiscono la nostra quotidianità.
In questo, “Cinquemila chilometri al secondo” era un esempio magnifico, ma anche quest’ultima opera lo è, sebbene in modo diverso.
sergio pasquandrea commentato su Guardare e leggere:
“Inquietante” descrive benissimo la sensazione che ho provato leggendo la storia.
O, ancor meglio, “straniante”, “spiazzante”, perché è una storia che di continuo crea aspettative che poi, scientemente, delude.
Ma, soprattutto, quello che mi colpisce di Fior (e che fa per me il suo vero fascino) è il modo in cui riesce a rendere quel sottile flusso di avvenimenti impalpabili che costituiscono la nostra quotidianità.
In questo, “Cinquemila chilometri al secondo” era un esempio magnifico, ma anche quest’ultima opera lo è, sebbene in modo diverso.
Una sintesi eccellente di quello che ho provato leggendo Fior. Nell’ascoltare qualche intervista all’autore (che si trova qui a Parigi, e che spero uno di questi giorni di potere conoscere), ho visto confermati dei riferimenti che avevo intuito, tra i quali i primi film di Antonioni (L’eclissi, La notte, L’Avventura). Ma anche la passione per l’architettura di Fior, che si manifesta nella riproduzione accurata di decine di progetti celebri, sparsi qua e là: ed ecco che in realtà le architetture illustrate sono quasi tutte esistenti, e risalenti anche a cinquant’anni fa…
Le mezzetinte sono realizzate in più punti con l’aiuto di un dischetto struccante umidificato!