Ho scattato questa foto a Madras (oggi Chennai), dentro al tempio di Kapaleeswarar a Mylapore. Ero affezionato a questa immagine anche prima che Elio di Raimondo la commentasse con termini lusinghieri, facendomi decidere di renderla pubblica.
Mi piace per via della composizione, con questo gioco di diagonali e di verticali. Mi piace per il gioco di piani diversi che si susseguono, dalla lamiera scura in primo piano in basso, alla statua della mucca, al lampione, alla cupoletta, fino alla bandiera dorata del tempio – senza contare altri piccoli dettagli. Mi piace per le rime visive: il rosso dello stendardo a sinistra col rosso del drappo sulla mucca, lo scuro della lamiera in basso con lo scuro della bandiera in alto, il bianco della mucca con il bianco della cupoletta, il giallo del muro in basso con il giallo dell’asta della bandiera, e l’altro giallo luminoso del lampione con l’angolo illuminato della cupoletta. Mi piace per il fondo di cielo piatto, quasi grigio.
E mi piace perché mi racconta di una prima sera appena arrivati in India (anche se questo non si vede), mentre i simboli della devozione (la mucca, la bandiera, la cupola) sono accostati a quelli della modernità (la lamiera, il filo elettrico che taglia a metà l’immagine, il lampione acceso). E che la belva sacra (come la definisce Elio) sia illuminata non dalla luce divina ma da quella elettrica mi pare così dolcemente ironico da essere davvero indiano, fino in fondo.
La malinconia della sera, l’ironia, il sacro, la tecnologia: tutto vi si trova insieme, e insieme è dolcemente trascurato. Come dire che tutto ha valore, ma niente ne ha troppo; e proprio per questo anche gli opposti possono convivere.
P.S. (del giorno dopo): Riguardando la foto mi sono reso conto che la belva sacra molto probabilmente non è una mucca, bensì un toro, anzi il toro Nandi. Di fronte alle immagini sacre di Shiva c’è sempre un toro Nandi in contemplazione e adorazione, e spesso attorno ce ne sono altri. Poiché il tempio in cui è stata scattata questa foto è un tempio dedicato al dio Shiva, è quindi probabile che si tratti proprio di lui.
Il toro Nandi è il simbolo della contemplazione mistica, è il proto-asceta, che si perde nella contemplazione del dio. Se lo riconosciamo in questo modo, la foto assume ancora altri significati, sia ironici sia appassionati. La luce che illumina l’estasi dell’asceta è infatti la povera luce elettrica di un lampione cittadino – ma per un indiano anche quella può essere luce divina, perché il divino è ovunque.
E il toro perso in contemplazione è anche l’immagine rispecchiata dell’occhio che ha visto questa scena, l’ha amata, e ha scattato la foto. Di nuovo, tutto è mistico, persino la contemplazione del turista, persino dentro l’inevitabile ironia della situazione. L’India è una specie di vortice da cui non si riesce a uscire.
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