Di Ray Bradbury che non c’è più

Non mi è possibile esprimere un’opinione sull’importanza dell’opera di Ray Bradbury. A dodici anni, durante una noiosissima estate al mare, trovai nell’edicola del paese, su uno scaffale a rotelle all’aperto, sotto il sole cocente, un libro che possiedo tutt’ora, un Oscar Mondadori dal titolo Cronache marziane. Il titolo mi incuriosì, come la copertina.

Non so poi quante volte l’ho riletto, e riletto ancora, certi racconti di sicuro innumerevoli volte. Qualche brano lo ricordo persino a memoria.

Non so. Forse a posteriori dovrei fare la tara a tutto quel romanticismo letterario. Ma non mi è possibile. È entrato in me troppo presto. Ha riempito troppo i miei sogni dell’epoca in cui scoprivo la letteratura. Probabilmente è in buona parte responsabile della mia successiva passione per la fantascienza, e anche per i fumetti, che in quegli anni erano pieni di fantastico e di fantascientifico.

Ho apprezzato, ma non altrettanto, anche Fahrenheit 451. Ero già più grande, ed era in qualche modo un romanzo a tesi, senza quel meraviglioso senso di essere altrove del libro sulla colonizzazione di Marte.

A dire il vero, pensavo che Ray non ci fosse più da molti anni. Quando scoprii Cronache marziane, lui era in verità più giovane di me adesso. Onore a lui – comunque un mito, e non solo per me, direi.

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di Daniele Barbieri

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