Di Frazetta e del perché dei sogni

Ieri ho commemorato troppo brevemente Frazetta utilizzando i pochi minuti che avevo a disposizione per farlo. Ho lodato l’originalità della sua donna-gatto, a dispetto del tema ormai troppe volte utilizzato da tanti. Voglio tornarci su ora, con più calma, per capire che cosa renda così intrigante quella immagine. Un po’ come cercare, attraverso un’attenta osservazione, di carpire qualche segreto dell’arte di Frazetta.

Osserviamo, dunque. L’immagine è complessivamente scura, ma i colori sono brillanti lo stesso. A parte la figura della donna, il colore che domina il primo piano è questo verde smeraldino, che sfuma ai lati verso il blu, con qualche macchia giallo-rossastra.

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Frank Frazetta, Cat-girl

In quest’area che perde definizione man mano che ci si allontana dalla zona centrale sono nascoste le pantere, nere o maculate, che si rivelano allo sguardo progressivamente, una dopo l’altra, come se uscissero materialmente dall’oscurità in cui sono nascoste. Questo effetto è anche dovuto al fatto che l’attenzione di chi guarda è attirata verso il centro da diversi fattori, mentre la periferia gode qui di un privilegio decisamente minore. Questi fattori sono:

  • la presenza di una figura umana, in particolare femminile, con una certa carica erotica – nella quale si riconosce facilmente lo stereotipo inquietante della donna-gatto;
  • l’intreccio delle figure serpentine dei tronchi coperti di muschio, inanimati ma al tempo stesso contorti come se si stessero muovendo (quasi dei lunghi colli di dinosauri);
  • la minore definizione dell’immagine man mano che ci si allontana dal centro;
  • i colori poco saturi della figura femminile, contrapposti a quelli molto saturi attorno;
  • la luce improvvisa sul seno di lei, posto quasi al centro esatto dell’immagine;
  • lo sguardo della donna, rivolto verso di noi.

Al centro dell’immagine sta dunque l’elemento più palesemente erotico, il seno, che però è collegato allo sguardo della donna (anche per simmetria): l’attenzione viene catturata dal seno, per poi scivolare sullo sguardo. L’attenzione dello spettatore oscilla così tra questo centro ambivalente e i dettagli della periferia, dove la scoperta progressiva degli altri sguardi, quelli delle pantere, ribadisce sempre di più, momento dopo momento, il legame che lega i felini alla donna. Tutti ci stanno guardando, tutti emergono dall’ombra; ma gli occhi dei felini brillano, mentre quelli di lei sono della stessa ombra che circonda il suo viso. I suoi occhi oscuri si contrappongono ai suoi seni luminosi.

Questa è dunque la macchina retorica che guida l’attenzione di chi guarda, inquieta e oscillante. Il fulcro di questa attenzione è la donna stessa.

La donna è brevilinea e muscolosa, ma insieme anche morbida, rotonda: complessivamente all’opposto del modello longilineo che domina nell’immaginario del fumetto e del fantasy. È scura, dai capelli neri e dai lineamenti esotici, proprio come una pantera. Le sue gambe sono ancora più scure, o magari sporche di fanghiglia, proprio come quelle di un animale.

Nella zona illuminata spicca il dettaglio dell’asimmetria dei seni, essendo quello destro leggermente allungato dal sollevamento del braccio. Questa asimmetria, oltre a far risaltare la carnosità dei seni e della donna, rafforza la strategia antistatuaria. Se questa è una donna ideale, allora appartiene a un ideale che non è quello che normalmente ci aspetteremmo qui.

È quindi la sorpresa a rendere di colpo viva questa figura così volutamente imperfetta, e la sua carne immediatamente così vera che quasi ci sembra di poterla toccare. Ma se stiamo per toccarla, allora siamo lì, e quella che abbiamo davanti non è più donna di quanto non sia pantera, e ci sono i rami serpentini verde smeraldo, e le pantere immobili che respirano nell’ombra tutt’attorno. Se siamo lì, insomma, stiamo sospesi tra erotismo e pericolo mortale, e lo sguardo di lei promette insieme l’uno e l’altro; e lo stesso fa il suo gesto, di indifferenza e un po’ di sfida – come l’avessimo sorpresa, lei e le sue pantere, ma fossimo noi assai più sorpresi di lei, tutto di un tratto incerti tra il desiderio e lo spavento.

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Di Frazetta e dei sogni che persistono

Frank Frazetta, 1964, da Creepy

Frank Frazetta, 1964, da Creepy

Non è che Frank Frazetta sapesse solo disegnare. Ci sono tanti disegnatori dotati di tecnica strabiliante, al mondo. E poi i suoi debiti nei confronti di Alex Raymond sono stati davvero grandi come una casa.

Quello che Frazetta ha fatto, semmai, attraverso la sua sapienza di disegnatore, è stata la costruzione di innumerevoli mondi inquietanti, che restavano inquietanti anche a dispetto della banalità dei temi. Quanti guerrieri armati e possenti abbiamo già visto sulle copertine del fantasy? Quante donne da sognare abbiamo già sognato in innumerevoli illustrazioni di quel tipo?

Ma ci sono quelle che restano e quelle che no, quelle che vengono prima e quelle che cercano di riprodurre quel fascino impossibile. Frazetta è stato il disegnatore dei fascini impossibili, a dispetto del già visto, a dispetto del banale.

E’ stato quel disegnatore che mi permette ancora oggi di continuare a sognare sulla femmina-gatto come se non fosse ormai uno stereotipo fritto e rifritto. Nei suoi disegni, continua a non esserlo. Per sempre, suppongo.

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Frank Frazetta, Cat-girl

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di Daniele Barbieri

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