Leggo Noi non andremo a vedere Auschwitz, di Jérémie Dres, fresco di stampa da Coconino. Il tema è interessante: due fratelli francesi, di origine ebreo-polacca, vanno in Polonia a cercare traccia delle proprie origini, poco dopo la morte della nonna, che è stata sino ad allora il loro unico tramite verso quel mondo. A Varsavia ne cercano la casa, prendono contatto con la comunità ebraica locale, troveranno con qualche sforzo le tombe dei bisnonni, scopriranno che esiste una rinascita vivace della cultura ebraica, dopo la caduta del comunismo. E non andranno ad Auschwitz, il che è sicuramente uno dei fatti più apprezzabili della vicenda, come sottolinea pure, nella prefazione, Jean-Yves Potel, Rappresentante del memoriale della Shoah per la Polonia (a Parigi). Evitare Auschwitz significa infatti cercare le tracce di un’altra storia, una storia positiva di vita e di civiltà, che il nazismo prima e il comunismo poi hanno in gran parte spazzato via. Però non del tutto.
Sin qui, tutto bene. Peccato che, al di là di queste apprezzabili cose, leggendo il testo non si capisca bene perché si dovrebbe andare avanti nella lettura. Noi non andremo a vedere Auschwitz si presenta come un reportage a fumetti, o come un diario di viaggio, ed è sicuramente fedele, documentato (le parole delle persone intervistate provengono dalle registrazioni, le immagini dalle fotografie…). Tuttavia, o troviamo interesse a priori nell’argomento, oppure il testo non fa gran che per sollecitarlo in noi, e questo mi sembra un difetto non piccolo.
Insomma, o c’è qualcosa che io continuo a non capire, oppure il meccanismo di questo testo non funziona. Sarebbe stato meglio forse scrivere un saggio, un libro-documento, destinato a chi sia interessato a priori al tema. Ma la forma graphic novel, come la forma romanzo tout court, ha l’ambizione di rivolgersi a “tutti”, o comunque anche a chi non sia interessato già di per sé al tema in sé, perché il meccanismo di coinvolgimento che esse instaurano dovrebbe funzionare indipendentemente dal tema, e favorire per questo l’interesse anche per qualcosa che prima non si supponeva che ci potesse interessare.
Insomma, questo libro non prende. È onesto, discreto, per niente ideologico; non cavalca il facile tema dell’antisemitismo; tutto è raccontato con cura e senza ideologie precostituite. Ma non prende mai il volo, e dopo un po’ non si capisce più perché si dovrebbe andare avanti a leggerlo. Peccato.
Quanta verità in queste parole, e quanta inutilità in quelle pagine…