Questa foto è stata presa presso il monastero camaldolese di Shantivanam, vicino a Kulittalai nel Tamil Nadu. Quel signore con tre teste al centro dell’immagine è Cristo, e quella davanti a lui è una croce. Alle spalle degli altrettanto cristianissimi angeli c’è invece un tempio, in classico stile tamil.
Il Cristo a tre teste non è un’immagine deviante della Trinità, ma semplicemente l’adeguamento a una consuetudine iconografica diffusa in India, dove spesso le divinità sono rappresentate con più teste, senza che questo debba implicare che le hanno per davvero.
Comunque, questo portale (è l’ingresso all’area della chiesa) dà bene l’idea del modo in cui i monaci di Shantivanam intendono il cristianesimo, anzi il cattolicesimo. Dal punto di vista della dottrina è un cattolicesimo sostanzialmente ortodosso, ma nel modo in cui si presenta, e persino nella liturgia, prende una serie di forme della tradizione religiosa induista, in modo da essere più accettabile per la popolazione locale.
Ho passato tre giorni a Shantivanam, in missione – diciamo così – antropologica, ma partecipando alla vita della comunità, liturgie comprese. Il luogo in cui si trova è incantevole, e sono stati giorni molto rilassanti e interessanti.
Devo dire, tuttavia, che, anche se i monaci camaldolesi meritano tutto il rispetto (perché sono camaldolesi, per la vicenda umana e spirituale che ha portato alla nascita di questo luogo, per la vita contemplativa che fanno e per il sostegno educativo e lavorativo che prestano alle popolazioni circostanti) questa isola di cattolicesimo camuffato mi sembra una sorta di piccolo tumore, con componenti benigne e maligne – ma comunque estraneo all’universo in cui si situa. È il prodotto di un sogno, fatto da alcuni Europei infatuati dell’India e del suo misticismo, che non hanno saputo rinunciare alla propria tradizione e hanno preferito cercare di impiantarla qui – per quanto riformata e adattata.
Con tutto l’onore che si può (si deve) tributare ai padri Henri Le Saux e Jules Monchanin, la sensazione oggi è che del loro sogno panreligioso non sia rimasta che questa piccola operazione imperialista cattolica, il cui fascino residuo sta anche nella sua impossibilità di crescere più di tanto. La spiritualità induista qui attorno sembra rigogliosa come la vegetazione che circonda il monastero. E magari qualche volta succede pure che chi si traveste finisce per diventare davvero quello che faceva finta di essere.
I dominatori inglesi consideravano l’induismo una forma di barbarie. Nel mio viaggio in India ho avuto spesso l’impressione, piuttosto, che i veri barbari siamo noi. Buon Natale.
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