 Arnold Boecklin, Isola dei morti, terza versione, 1883
Non ricordo più chi sia stato a segnalarmelo. Fatto sta che mi sono trovato nelle note del cellulare un riferimento alla Galleria Ielasi di Ischia, e non ricordavo perché me lo fossi segnato. Sono andato perciò a vedere sul Web, e ho trovato questa pagina di Facebook, dove, scendendo un po’, ho capito il motivo per cui mi ero segnato questo nome.
Non per la mostra su Francesca Ghermandi del luglio scorso (che sarebbe stato comunque già un buon motivo), ma per l’Omaggio a Böcklin esposto in autunno, con opere di numerosi autori, tra cui diversi fumettisti. Riporto qui quelle che ho trovato in giro sul Web, ricollegandomi a un discorso su Böcklin e sugli omaggi al suo più famoso dipinto che avevo già avviato in un post di questo inverno, al quale rimando. Qualcos’altro, di quella mostra, oltre a ciò che sto mostrando qui, si può intuire dalle foto nella pagina di Facebook.
Qui sotto c’è un Bacilieri tristemente dissacrante:
 Paolo Bacilieri, Omaggio a Boecklin
Segue un Tota popolar-onirico, che trovo, nella sua ironia, molto centrato:
 Alessandro Tota, Omaggio a Boecklin
Piero Macola ritrae non l’isola dei morti ma l’isola del Castello Aragonese, proprio vicino alla Galleria Ielasi, a cui pare che lo stesso Böcklin si fosse ispirato:
 Piero Macola Boecklin Ischia
Poi c’è questa tavola di Manuele Fior che sembra ritornare all’origine di tutto (o almeno così si capisce dalla sua spiegazione):
 Manuele Fior, Der Maler
Trovo inquietante anche questa versione subacquea di Luigi Critone:

Per concludere, ci metto un’altra immagine, che non c’entra con la mostra, ma è sempre un omaggio a Böcklin, di qualche anno prima, che salda l’immaginario del pittore simbolista con quello dell’Alex Raymond di Flash Gordon (ricollegandoci quindi in chiusura a quello che raccontavo nel mio post precedente):
 Philippe Druillet, da “Gail”, 1978
Da un punto di vista strettamente grafico, forse Druillet non è il più capace dei disegnatori qui riportati, ma è sicuramente quello i cui deliri inquietano di più – ed è perciò, almeno in questo, il più vicino a Böcklin.
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 Alessandro Tota, Fratelli, (Coconino Press, 2011) pp. 98 e 99
Per Andrea Pazienza e la sua generazione si parlava di ascendenze underground, nel senso di quello che era iniziato a succedere negli USA circa dieci anni prima, o poco più. All’epoca l’underground sembrava un retaggio di altri tempi, mentre in realtà di tempo ne era passato pochissimo, e l’aria che si respirava era certamente ancora la stessa.
Ma le ascendenze erano ascendenze e niente più, in particolare per Pazienza; ma anche per i suoi compagni di rotta. Si era partiti da là per arrivare a un’onda italiana tutta particolare, ben difficilmente confondibile con quella degli zii d’oltre oceano. D’altra parte, si era loro ancora ideologicamente tanto vicini che era indispensabile differenziarsi il più possibile.
Trent’anni dopo, Alessandro Tota ha molto meno bisogno di questa diversificazione. Anzi, forse l’avvicinamento al disegno e all’impostazione grafica dell’underground americano è addirittura funzionale a nascondere la forte ascendenza pazienziana, che però salta fuori qua e là lo stesso, per inquadrature, rese espressive e tematiche narrative. Persino la scelta delle trame di questo Fratelli sembra debitrice nei confronti di Pazienza.
Va detto che l’ambientazione anni Ottanta degli eventi di Fratelli giustifica sia il rimando a Paz che quello all’underground, anche perché alla fine, leggendo il lavoro di Tota, non si ha affatto l’impressione di leggere un epigono. La storia è ben costruita e l’ambiente dei giovani senza sbocco descritto con sottigliezza. Non è Pazienza, certo – perché magari gli manca quel guizzo di devastante sarcasmo che rendeva Paz unico. Ma è comunque una lettura interessante, e del tutto libera dal buonismo che ancora rendeva un po’ goffo il lavoro precedente, Yeti.
Diciamo che abbiamo motivi per aspettarci un ulteriore miglioramento a breve, in una (almeno da me) attesa prossima opera.
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Dalla timeline di Daniele Barbieri
Daniele Barbieri - Autore20/11/2020 @ 16:20"Il fumetto nasce umoristico, poi si tinge di fantastico e di avventura. Nell’umoristico il paesaggio è di solito poco rilevante; nell’avventura è funzionale al racconto, pura descrizione della situazione affrontata dall’eroe. A partire dagli anni Sessanta del Novecento ha inizio però una trasformazione espressiva, e progressivamente, sempre di più, il racconto psicologico, su base interiore, prende piede nell’ambito del raccontare a fumetti, prima mascherato come forma particolare di avventura o di umorismo, poi sempre più autonomo, sempre più genere a parte, definitivamente sancito dall’avvento del formato graphic novel. Questa trasformazione coinvolge anche il ruolo del paesaggio, che non è più solo sfondo degli eventi, contestualizzazione narrativa, diventando a sua volta un protagonista espressivo, una forma simbolica."
https://animaloci.org/il-fumetto-note-sparse-sul-ruolo-del-paesaggio/
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