Storie di solitudine e kafkiana alienazione
Il Sole 24 Ore, 19 aprile 1998
Non è un periodo facile per il fumetto, questo. E tantomeno lo è per il fumetto italiano, ma gli difetta forse più il pubblico che i talenti, più la circolazione del denaro che quella dell’inventiva. E’ per questo che, nonostante l’atmosfera complessivamente asfittica, ci sono momenti in cui compaiono tutte assieme varie cose degne di interesse, e che davvero meriterebbero un pubblico più interessato di quello che mediamente paiono avere.
Tra queste, colpiscono le produzioni recenti di due autrici, diverse per origine e formazione, ma accomunate dalla profondità e originalità dello stile, la cui uscita in libreria dedica evidentemente il risultato del loro lavoro a un pubblico più riflessivo di quello dell’edicola. Si tratta di Gabriella Giandelli, autrice di “Hanno aspettato un po’, poi se ne sono andate”, uscito come terzo numero della rivista Mano (di cui già abbiamo avuto occasione di parlare); e di Vanna Vinci, autrice di Ombre, pubblicato da Kappa Edizioni di Bologna.
“Hanno aspettato un po’…” è, come altri racconti della Giandelli, la storia/non-storia di una solitudine. Un uomo in un momento cruciale della propria vita (ma quale momento non è cruciale? pare sottintendere l’autrice) è in preda alle proprie emozioni, causate da fatti spesso all’apparenza banali. Un racconto di sfumature, in cui gli eventi, uno dopo l’altro, sembrano essere assorbiti dall’impossibilità della vita; scatenano emozioni, desideri, rimpianti, timori, ma non spostano nulla, non risolvono situazioni che appaiono dall’inizio alla fine senza uscita.
Eppure non c’è nessuna retorica della disperazione, e nemmeno nessun “minimalista” annegare nella piattezza della vita quotidinana. Al contrario, il disegno netto e pulito della Giandelli sembra fare di ogni immagine un’incisione su legno, donando al racconto delicatezza e ansietà, insieme con un senso profondo della concretezza della vita, anche quando l’irrealtà le si mescola insensibilmente.
Più marcatamente nel segno dell’irrealtà sono le tre storie che Vanna Vinci raccoglie in Ombre. La storia d’amore tra una ragazza e un giovane rumeno dai lunghi canini, la cui immagine non è rimandata dagli specchi, è seguita dall’incubo della giovane che, assunta al lavoro in un luogo lontano da casa, vede sfaldarsi una dopo l’altra tutte le certezze sulla propria identità, e come in un film espressionista la realtà si contorce sempre più attorno a lei. Infine una strana storia di truffe e omicidi si risolve nell’amore tra i due inquieti protagonisti.
In comune con Gabriella Giandelli, Vanna Vinci ha la capacità di raccontare storie di solitudini e difficili contatti. Storie che assomigliano forse a tante altre storie che già conosciamo; ma la capacità di un narratore è proprio quella di farci godere di una storia già sentita come se fosse nuova. In questo il segno della Vinci – nonostante sia forse ancora un po’ più ingenuo di quello della Giandelli – riesce a condurci per mano attraverso le passioni dei suoi personaggi, rendendole tanto più vere quanto più è assurdo il contesto in cui vengono generate. E l’incubo di Ines Saudade, che arrivata sul posto di lavoro si ritrova con i documenti e l’identità di una certa Vera Caligari, procede con l’esattezza inarrestabile di una storia di Kafka, in cui l’alienazione procede per gradi, ma è tanto più terribile proprio per questo.
Si tratta di due autrici e due esempi che mostrano, a chi avrà l’ardire di leggerle, che esiste una letteratura a fumetti di cui molto meno si parla ed è molto meno premiata della letteratura tout court. Ma da cui proprio diversi autori di questa stessa letteratura potrebbero trarre non indifferenti lezioni di originalità e di stile.
Gabriella Giandelli
Hanno aspettato un po’, poi se ne sono andate
Mano, n. 3
Mano Edizioni, Bologna
pp. 96, £. 16.000
Vanna Vinci
Ombre
Kappa Edizioni, Bologna
pp. 174, £. 20.000
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