Ogni volta che torno a guardare questa breve storia a fumetti realizzata da Chris Ware faccio delle piccole scoperte, che mi aiutano a capire i motivi sia della qualità del suo lavoro che quelli dell’effetto gelato che mi trasmette. Le ossessioni produttive di Ware stanno un po’ diventando oggetto delle mie ossessioni, come si può già vedere in questi post. In quello più recente mi ero soffermato sulla struttura complessiva della pagina e sulla costruzione di un effetto quasi mondrianiano attraverso la distribuzione delle vignette e delle linee bianche che le separano. Ora, tornando a osservare queste pagine mi cade l’occhio su un gioco di diagonali, contenuto nelle vignette, che costruisce un interessante contrasto con l’architettura ortogonale complessiva.
Se guardiamo le due doppie pagine, possiamo osservare che ciascuna è organizzata attorno a una vignetta centrale, che rappresenta la stanza vuota della protagonista. Le due vignette sono quasi uguali (le riporto qui a fianco), differendo solo nella collocazione temporale diurna o notturna (e nella presenza/assenza di un pezzo di corrimano). Sono caratterizzate entrambe dalla presenza di una linea spezzata che va dal basso a sinistra verso l’alto a destra e separa il pavimento nero dal resto dell’immagine. Si noti che gli angoli di questa spezzata sono tutti uguali, secondo una regola di costruzione assonometrica (e dunque non prospettica), che però non comprenderebbe la diagonale delle scale. Ma pure la seconda spezzata, che separa, in alto, il soffitto dalle pareti, mostra le medesime angolazioni, anche se invertite in due linee diagonali su tre. Qui, tuttavia, non c’è nessuna regola di costruzione assonometrica che imponga questa scelta, che è dunque interamente arbitraria.
Infine, se si traccia il prolungamento della prima diagonale a sinistra, questo va a cadere esattamente sulla diagonale del soffitto in alto a destra, rivelando l’accuratezza della costruzione. E si tratta di una costruzione importante: questa immagine si trova al centro delle due doppie pagine, perché la stanza rappresentata è a sua volta al centro del racconto, e ricorre ossessivamente nella sequenza narrativa.
Ma non ricorre solo l’immagine della stanza. È la linea spezzata stessa che la caratterizza a ricorrere, in tutto o in parte, con l’ossessione di quegli angoli sempre uguali. La ritroviamo persino nell’inclinazione della testa della protagonista appoggiata sul cuscino quando è a letto, e nei profili dei tetti delle case nelle immagini in esterno.
Già l’abbandono della prospettiva a vantaggio dell’assonometria rende freddo e geometrico l’universo di Ware, eliminando concettualmente la presenza di un punto di vista umano – ma poi, questa ricorrenza esasperata delle medesime angolazioni sembra riportare tutto quello che viene mostrato e raccontato a questa medesima logica inumana.
Mi sono divertito qui a fianco a togliere dalle doppie pagine le vignette che non riguardano la situazione stanza. Ci si accorge bene, da queste immagini, che persino la distribuzione delle vignette che hanno per oggetto la stanza da letto segue un’organizzazione diagonale, più accennata nella prima doppia pagina e più spiccata nella seconda. Ma ci si accorge anche – eliminando le altre vignette – che c’è una logica moltro stringente nei colori: ai grigi della stanza si aggiungono un azzurro e un ocra (rosso).
Se ora torniamo alle pagine vere riportate in alto, ci possiamo accorgere che le vignette qui mancanti sono costruite esattamente su questa coppia di colori, con appena un po’ di verde quando sono in scena i genitori. Insomma, nella monotonia della vita della protagonista, anche la ricorrenza inesorabile dei colori contribuisce a costruire l’impressione che non ci sia via di fuga, se non nella rassegnazione. L’ossessività della costruzione rinvia alla natura ossessiva e ricorsiva del vivere – o almeno alla visione che ne vuole esprimere Ware: gli stessi angoli, gli stessi colori dappertutto, senza scampo.
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