“Posso?” editoriale di Daniele Barbieri per Versante Ripido
Posso?
Nel senso di: mi date il permesso? Mi autorizzate? Non mi fate annegare o mettete in prigione se provo a entrare?
Posso scrivere queste cose? Non c’è dubbio che ne avrò facoltà nella misura in cui le mie parole arriveranno solo a chi già la pensa come me, e quindi non sposteranno nulla. Ma, potrei scrivere queste cose là dove effettivamente le arrivassero a leggere tutti?
Una volta le dittature mi avrebbero comunque impedito di dirle. E questo avrebbe potenzialmente creato un caso. Oggi i governi democratici sono meno ingenui, e distinguono bene ciò che è davvero pericoloso per loro da quello che non lo è. Finché parlo ai miei, finché parlo a quattro gatti, finché dico cose tutto sommato banali, già dette, non corro nessun rischio. Posso.
Il poeta, in generale, oggi parla ai suoi. Anche per questo, in generale, nessuno gli negherà il permesso. Potrà persino essere usato a dimostrazione che non esiste nessuna repressione delle idee.
Nel nostro paese, il prestigio culturale di cui la poesia gode è inversamente proporzionale al suo peso. Se va contro al potere potrà essere perciò bellamente ignorata; se invece lo favoreggia, quel prestigio potrà diventare una mostrina all’occhiello. I poeti amici dei ministri sono facilmente importanti poeti, anche quando non hanno mai scritto una poesia decente.
Io non credo alla poesia civile. La poesia non diventa migliore né parlando bene né parlando male del potere. Al massimo, il poeta si fa degli amici; raramente dei nemici. È più facile farsi dei nemici con un buon editoriale su un giornale di ampia diffusione, che con la migliore delle poesie civili. L’impegno politico e civile è tutt’altro che vietato ai poeti, anzi! Ma è meglio che lo lascino al di fuori della propria poesia, se davvero desiderano che pesi in qualche modo.
Non ha a che fare col potere, dunque, la poesia?
Posso?
Nel senso di: mi date il permesso di dire qualcosa di forse sgradevole? Non me lo potete negare, a questo punto. Certo, potete smettere di leggere.
Se una poesia è davvero buona ha il potere di impedirvi di smettere di leggere. Non vi può costringere a iniziare, ma se iniziate, rimarrete lì sino alla fine; e magari tornerete pure. La poesia non è politica, e non è civile, se non per caso, quasi per sbaglio. Ma la buona poesia, persino quando parla di alberi, non implica affatto il silenzio sulle stragi. La buona poesia, persino quando parla di alberi, porta alla luce uno strato più profondo, parla alla nostra anima e alla nostra coscienza attraverso i nostri miti. Per questo, la buona poesia è etica e civile anche quando parla di alberi.
E parla del potere anche quando parla di alberi. Non dice che il potere è corrotto, che il potere è potere, che il fascismo striscia attraverso le azioni dei potenti ogni volta che può. Non lo dice, ma anche parlando di alberi, ci conduce verso la condizione in cui lo possiamo poi capire da soli. Ci costringe a essere sinceri con noi stessi, individualmente ma anche collettivamente. Ci porta a rivelare lo stato di menzogna in cui annaspa il nostro quotidiano, che a sua volta sostiene e ci fa sostenere, magari inconsapevolmente, quel potere che crediamo di stare combattendo.
La buona poesia si muove al livello degli strati profondi della nostra cultura, del nostro patto sociale, anche quando in apparenza parla di alberi. Se non sapremo discendere fino a questo livello, se non sapremo riconoscere quello che sussurra nel nostro profondo, di individui e di società, qualsiasi opposizione al potere non farà che rafforzare il potere, perché ne confermerà i principi condivisi.
I quali sono così condivisi che la poesia, ahinoi, è ormai rimasta un’arte di élite, e col potere, in un modo o nell’altro, siamo tutti ingenuamente collusi.
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