Perché il lettering azzarda così poco
Mi sono ritrovato a pormi una strana domanda, una di quelle che di solito non ci si pone perché le cose stanno così e non sentiamo un particolare desiderio di cambiarle – e di quello che per noi è normale, come ci insegna Wittgenstein, nemmeno ci accorgiamo più. In questo caso la domanda riguarda proprio ilperché le cose stiano così, e perché non sentiamo il desiderio di cambiarle, se non occasionalmente, in circostanze particolari o visibilmente eccezionali. A queste circostanze particolari appartengono i tre esempi che ho voluto mostrare qui.
Il problema, evidentemente, riguarda il lettering, e la domanda è: perché, con poche eccezioni, il lettering nel fumetto è da sempre così standardizzato? Certo, vi sono varianti individuali (come quello, bellissimo e personalissimo, di Dino Battaglia), però, all’interno di quella variante la standardizzazione agisce di nuovo. Perché, insomma, non si usano le innumerevoli varianti grafiche della scrittura che pure sarebbero possibili e facili da produrre per caratterizzare gli aspetti espressivi delle parole dei personaggi, che pure saranno espresse con qualche tono emotivo nel mondo rappresentato? Visto che, giustamente, il bravo disegnatore caratterizza le espressioni del viso e del corpo a seconda del tono emotivo del personaggio, perché mai (con rare eccezioni) il bravo letterista non fa lo stesso con le parole dei suoi balloon?…
“Mi piace” così, a prescindere, prima ancora di averlo letto 🙂
mi chiedo: e i manga?
te la pongo come domanda, perché è un campo di cui so poco o nulla, ma dato che nella tradizione giapponese la calligrafia occupa un ruolo così centrale, come la sfruttano i fumetti?
Si apre un discorso lunghissimo e intrigante… ma meglio rinviare a cose già scritte, almeno per quanto mi riguarda
(intendo: cose già scritte da te e da altri che si sono interessati al tema)
In genere lo stile della scrittura cambia per marcare momenti psicologici o narrativi particolari. Credo che il resto debba scorrere chiaro e fluido per non interferire con la temporalità visiva della storia, dato che interpretare grafemi idiolettali chiede tempo, e con lo spazio utile per il disegno, dato che delle singolarità scritturali potrebbero rubare spazio alle figure.
“Potremmo dire che, per quanto riguarda il godimento del romanzo, qualsiasi edizione che rispetti le condizioni di buona leggibilità vale quanto qualsiasi altra che ugualmente le rispetti. […] Insomma, anche se per leggere il romanzo abbiamo bisogno del libro, il romanzo è qualcosa di astratto, una sequenza di parole che consideriamo equivalente qualunque sia la forma grafica che prende” Leggendo questo articolo mi è tornato alla mente quanto da te scritto nell’articolo Questioni di “Letteratura”. Mi chiedevo se può essere questa una chiave di lettura a quanto da te esposto.
Il lettering non è sviluppato in quanto rientra nella sfera dell’astrazione e la sensazione è che un ulteriore sviluppo dello stesso non possa apportare significativi miglioramenti al mezzo stesso.
Azzardo poi un ulteriore ipotesi, la divisione tra disegnatore e sceneggiatore esclude il lettering al controllo del disegnatore sicuramente più sensibile ad un approccio visivo del fumetto e lo relega alla tradizione letterario, come abbiamo già visto, più incline ad astrarre la parte letteraria. Forse non a caso gli esempi da te citati sono presi da fumetti in cui l’autore convoglia in se entrambe le funzioni.
Per Gc.
Sì, sono ipotesi che hanno un senso, e certamente la maggiore astrazione della parola rispetto all’immagine nonché la divisione del lavoro tra sceneggiatore e disegnatore (e letterista) favoriscono la situazione attuale. Però queste considerazioni spiegano la situazione attuale e non perché non possa cambiare. Se un autore mostrasse che il guadagno espressivo di un lettering creativo è grande (e la perdita in leggibilità fluida è piccola – per rispondere anche a Davide) non credo che ci vorrebbe molto a sentire più visivamente concreta la parola e a cambiare un poco la divisione del lavoro. Non è detto che sia facile, Quello che funziona nello humor può apparire fuori luogo nei contesti non umoristici, stonato, eccessivo. Però non escludo affatto che un qualche modo ci sia, magari anche solo per caratterizzare particolari sfumature emotive o particolari enfasi. In fondo anche la nostra voce ha una sua medietà, tenuta gran parte del tempo, mentre poi ci sono situazioni in cui si altera espressivamente.
Per Marco e Sergio, sul manga:
direi che non lo so, perché dovrei saper leggere il giapponese per saperlo, e frequentare molti manga in originale. Ho il sospetto che la situazione sia abbastanza simile a quella occidentale, e che le variazioni grafiche di rilievo riguardino solo i rumori. Ma è un sospetto, non una certezza, per le ragioni dette qui sopra.