Di una foto di tavoli e mare

I tavoli e il mare

I tavoli e il mare

Non so. Devo parlare di linee orizzontali e verticali, di vicino e lontano, di scuro, chiaro, azzurro e rosso? O del mare che si rispecchia sul tavolo lucido?

Oppure è sufficiente proporla, questa figura presa qui, in questa mattina di febbraio, con un sospiro, magari?

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Della foto di un corridoio di luce

Il corridoio di luce

Il corridoio di luce

Questa foto mi piace perché persino nella sua riproduzione del reale si resta abbagliati dalla luce in alto nel procedere dell’occhio verso il basso. La sovraesposizione del cielo ci rende quasi ciechi ai dettagli dell’ombra, e non resta che questo corridoio di luce tra le case.

Potete ingrandirla per vederla a tutto schermo, se volete, ma l’effetto non cambia. L’immagine è comunque troppo stretta e lunga per essere colta nella sua interezza da un’occhiata sola, e il vostro occhio continua a salire e scendere, proprio come avete fatto con la scrollbar. La dimensione della troppa luce (in alto) e quella della troppa ombra (in basso) restano separate, e collegate solo da questo corridoio verticale di luminosità.

Sì, sì. I corridoi sono due: quello reale, del viottolo lastricato di sassi, e quello puramente visivo, che percorre la foto dall’alto in basso. A questo secondo corridoio la percezione si aggrappa, perché fornisce un’ancora di normalità; però l’insieme rimane perturbante. Non vi viene da alzare la mano per proteggere gli occhi dal sole?

(presa qui)

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Della foto di un cortile con due signore

Il cortile con le signore

Il cortile con le signore

Questa foto è stata scattata da qualche parte qui, lungo la Bazaar road di Mattancherry. È una foto “rubata”, scattata quasi senza fermarmi davanti all’androne – ma la signora in rosso sembra avermi notato e stare gradendo che la si fotografi (a tutti, in Tamil Nadu piace essere fotografati, e lo dimostrano sempre con entusiasmo).

Una delle ragioni per cui mi piace questa foto è la sua allegria, incorniciata però dal nero dell’oscurità dell’androne, con quel mucchio di cose incerte lì sulla destra, e l’architrave sopra.

Persino le due signore hanno i colori dell’ambiente: quella giovane che ci guarda ha il colore dei gradini e del corrimano; quella anziana di spalle i colori dei muro di fondo e dell’acqua in basso.

A modo suo, anche questa è una foto geometrica, come spesso sono le mie. E l’India è il paese della matematica e delle astrazioni logiche. Però è incredibile quanta vita sporca e meravigliosa si annidi negli angoli di quel rigore.

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Di una foto di alcuni muri bianchi

Geometrie in bianco e blu

Geometrie in bianco e blu

Dopo quello che ho sostenuto la scorsa settimana, questa foto potrebbe sembrare un azzardo. Ma non è l’oggetto fotografato in sé che mi piace, qui. La chiesina, tutto sommato, era abbastanza ridicola, tutta così perfettina e geometrichina.

Ma queste sfumature tra i bianchi e i grigi, questo blu così pieno (e a sua volta sfumato) sul fondo, e la grana dell’intonaco e del cemento, e persino quei tubi o fili che escono dal muro a destra, visti così, mi piacciono un sacco.

E poiché la foto l’ho fatta io, mi sembra di essere un po’ Malevich, e mi autolusingo da me. (Essere sul luogo, comunque, era forse meno lusinghiero, ma molto più piacevole)

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Di una foto di muri e fili

Il muro e i fili

Il muro e i fili

Al solito, come tante altre che ho ormai pubblicato, questa foto mi piace perché allude all’ortogonalità senza realizzarla, contaminando di fatto l’esattezza dell’angolo retto con le mille piccole difformità del mondo reale.

In questo contesto di inesattezze, persino l’effettivo angolo retto (nella terza dimensione) del cavo in basso a sinistra viene più facilmente letto come una diagonale, un po’ in rima con il cavo storto che scende dal raccordo sul muro, o come il profilo stesso del muro a destra.

E poi c’è l’erba in alto, e il muschio giallo dappertutto, per non parlare dei colori e della forma effettiva dei mattoni.

Diciamo, insomma, che il bello del progetto funzionalista è stato, in fin dei conti, quello di farci scoprire che la perfezione geometrica è un gran bell’obiettivo, fin che resta tale, e non ci si avvicina troppo.

Presa qui.

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Di una foto con gli ombrelloni rossi

Gli ombrelloni rossi

Gli ombrelloni rossi

Dal punto in cui questa foto è stata presa, gli ombrelloni sembrano quasi spuntare da sotto terra, e, alla fine, sono una specie di serpente rosso tra la parte bassa grigia di sassi e la parte alta blu di mare e di atmosfera.

C’è un po’ di convergenza delle linee verso sinistra, e un po’ di dilatazione delle distanze tra gli ombrelloni procedendo invece verso destra; e anche le diagonali (quelle della montagna, quella degli ombrelloni rossi e quella della spiaggia) scendono tutte verso destra. Insomma, un sacco di movimento, in questo posto dove non si vede nessuno.

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Di una foto un po’ intricata

Il televisore e le finestre

Il televisore e le finestre

Che cos’è che non quadra in questa immagine? (è stata presa qui, ma questo non influisce molto)

Il televisore, i fiori…: un interno. La vite americana, le finestre, i tavoli e il cameriere: certamente un esterno. Ma quasi senza soluzione di continuità, a parte le varie sbarre più o meno diagonali.

O forse è solo il fatto che non ci sono linee orizzontali (le verticali sì, però), e questo rende un po’ instabile tutto – perché non si tratta solo della diagonalità dovuta alla prospettiva. C’è dell’altro, qui.

O sarà questo fitto, questo spazio ultrapieno…

 

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Della foto di un muro rosaceo

Il muro rosaceo

Il muro rosaceo

Nel mondo reale, questo muro si trova qui. Nell’immagine che avete sotto gli occhi è un dettaglio materico un po’ sgranato dall’ingrandimento, che crea una composizione quasi astratta insieme con altre linee sostanzialmente ortogonali.

A me piace, oltre all’incrocio delle linee, il contrasto tra il rosaceo/violetto del muro e il giallo chiaro dell’altro muro più a destra, quello tra i diversi marron/ocra, e quello tra i vari grigi e bianchi.

Insomma, un’altra variazione sul tema di sempre. Una città invisibile perché nascosta dalla sua struttura plastica. Però anche queste linee astratte parlano di persone che hanno lavorato per costruire questi muri, e di natura che ha operato per invecchiarli.

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Di una foto di tre donne

Tre età

Tre età

C’è un tema e titolo ricorrente nella storia della nostra pittura: “Le tre età della donna”. Ne ha dipinto uno anche Klimt.

La mia versione l’ho trovata qui. Le due donne più anziana e più giovane dialogano tra loro, mentre quella intermedia sta facendo proprio la stessa cosa che sto facendo io, solo su un soggetto diverso. Il suo sguardo è perso, concentrato sul suo soggetto come presumibilmente il mio lo era sul mio.

C’è una morale in questo? L’immagine suggerisce un’identità tra il fotografo e (parte del) suo soggetto? Be’ sì, forse un po’. È importante? Credo di no.

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Della foto di un muro stratificato

Il muro stratificato

Il muro stratificato

Questa foto è stata presa qui. Quello che ci mostra mi ricorda le opere di Mimmo Rotella, solo che la stratificazione che viene messa in mostra non riguarda gli anni, ma i secoli. I Veneziani e i Turchi sono passati qua, ma ovviamente la maggior parte della popolazione che abitava in queste case era greca. Poi c’è l’intonaco e il colore più recenti, con anche i resti di una qualche operazione con ambizioni artistiche.

A saper guardare i segni che si accumulano su questo muro, si può leggere la storia d’Europa. Diversi tipi di archi o architravi, di pietre o mattoni, di modanature, di intonaci, di materiali e di colori. E poi, a essere anche ciechi alla storia, c’è questo effetto da dipinto informale, questo grido del blu contro le ocre chiare e rosse.

Ma che pure il selciato fosse azzurro, questo non lo ricordavo. L’occhio registra i colori diversamente, e quello che classifica come grigio rimane grigio, a dispetto dell’evidenza. La foto esalta e a volte esagera quello che c’è, ma se non sono io a farlo apposta, non mostra quello che non c’è.

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Della foto di una montagna azzurra

La montagna di aria e acqua

La montagna di aria e acqua

Questa montagna è fatta di aria e di acqua. Se ingrandite la foto, emergono i dettagli, ma l’illusione scompare.

Se la mantenete sufficientemente piccola, l’illusione della montagna azzurra contro il cielo verde si mantiene a sufficienza.

Il bello di una illusione così, è però proprio il suo essere effimera, e di potersi immediatamente confrontare con la subito sottostante realtà delle cose: uno specchio d’acqua bassa, in cui si riflette non la montagna, bensì il suo converso, la valle.

Restando nell’immagine piccola, alla prima illusione se ne sovrappone una seconda, non del tutto coerente con la prima: dietro al cespuglio in primo piano ha inizio una sorta di prateria, che poi sale verso l’alto in distanza, perdendosi nella prospettiva aerea dell’azzurro dell’aria. C’è anche una nuvola che scende. Ma poi c’è quell’altro cespuglio, che contraddice l’illusione, e il cielo verde scuro, che la nega del tutto.

Insomma, distinguiamo la realtà dall’illusione perché noi già sappiamo come deve essere fatta la realtà, e rifiutiamo l’illusione perché ci presenta una realtà incompatibile con quello che sappiamo. Però ci piacciono le illusioni, quando ci piace che ci venga suggerito che la realtà potrebbe anche essere diversa da quello che già sappiamo. I principi di conservazione e di tendenza al cambiamento che sono impliciti in questa dialettica sono ciò che ci fanno esistere, in fin dei conti.

Per fortuna possiamo accorgerci che la montagna azzurra è illusoria. Per fortuna possiamo illuderci per un attimo che ci possa essere davvero.

(presa qui)

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Di una foto con varie contraddizioni

Il campanile, il minareto e le barche

Il campanile, il minareto e le barche

Questa foto mi piace perché gioca su diverse sorprese. Scorrendola dall’alto in basso, come è inevitabile fare qui, si vede prima la punta del minareto contro le montagne (Marocco, Turchia? comunque un paese islamico montagnoso), poi il campanile cristiano (ancora un paese islamico? forse no. Sospendiamo il giudizio), poi i muri un po’ fatiscenti della città, poi le insegne dei ristoranti (a questo punto il paese diventa ovvio: è Grecia), e infine le barche e l’acqua del mare, anzi del porto.

Campanile e minareto, montagne e mare, case e barche. I suggerimenti sono contraddittori, ma poi, in fin dei conti, possono ben stare insieme. Il minareto è rimasto, per fortuna, vista la sua bellezza. Ma l’edificio sottostante è tornato cristiano, e ai Greci i Turchi non sono molto simpatici nemmeno oggi. Che minareto e campanile insieme siano un messaggio per la convivenza delle religioni, qui, in realtà, è semplice apparenza. Soltanto montagna e mare ci sono tutti e due per davvero.

La situazione storica di fatto nega il messaggio simbolico. È questa la contraddizione più forte di questa foto.

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Della foto di un’altana blu

L'altana blu

L’altana blu

L’altana, a essere precisi, sarebbe azzurra, ma “altana azzurra” mi sembrava un’espressione troppo poetica, un po’ da imbonitore. Blu è più sobrio. Questo non toglie che il colore di questa altana sia molto simile a quella del cielo che la sovrasta, e anche questo fa parte dell’interesse di questa immagine.

L’immagine è costruita con tre colori, fondamentalmente: il blu di altana e cielo, il bianco-grigio dei panni e del muro a sinistra, il bianco dorato delle arelle e del muro a destra. Il contrasto principale è quello tra blu e oro.

Si tratta di un contrasto antico, vecchio quanto l’epoca in cui i cieli dietro ai santi nei dipinti era d’oro e non azzurro, perché il cielo doveva rappresentare la gloria. Qui, viceversa, l’effetto dorato è ottenuto solo dalla luce del sole basso su un muro sporco, e non ha nulla di glorioso. Glorioso è semmai il cielo, con il suo blu compatto, a cui fa eco il colore dell’altana.

Però, a sua volta, il blu dell’altana è scrostato, e diventa d’oro là dove è caduto. Insomma, per un verso o per l’altro, che sia azzurro o che sia d’oro, qui tutto è glorioso, come si conviene a ciò che sta in alto.

Peccato che qui sia però anche tutto sporco, un po’ cadente, rappezzato e casalingo. Persino i fili tesi attraverso l’aria riescono a essere storti e rappezzati. I panni stesi e la vernice data in maniera approssimativa sul muro a sinistra completano il quadro, essendo casalinghi del tutto, senza redenzione.

Eppure, questa generale quotidianità, normalità, odorosa di legno vecchio e di bucato, non smette di rinviare a strutture ortogonali, razionali, rigorose, che vorrebbero – insomma – essere rettilinee e ideali. C’è un mondo delle idee (iperuraneo, quindi pertinente all’alto) che viene evocato proprio mentre se ne mostra la versione terrena; proprio come c’è una gloria che viene evocata proprio mentre è applicata a elementi per nulla gloriosi.

Questa foto mi piace perché il suo squallore è anche meraviglioso; perché mostra che può bastare la luce giusta e la giusta prospettiva a rendere meravigliose le cose più banali. L’ho scattata qui.

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Di una foto con natura e cultura

Natura e cultura

Natura e cultura

Questa foto è divisa a metà. In alto, una natura addomesticata, culturalizzata. In basso una cultura ancora naturalistica, innamorata di proporzioni che pretendeva essere naturali. C’è anche la statua di Vittorino da Feltre, umanista dai mille interessi, che ben si intona col tema. (La piazza, come si vede appena al di sopra della sua testa, porta il suo nome; e lui, a sua volta quella del luogo da cui proveniva, cioè questo, dove ho scattato).

La foto mi piace per il digradare delle masse da sinistra a destra, con vari echi, o rime (il muro bianco verso sinistra con la grande fascia verticale appena grigia, verso destra; il palo bianco piccolo con il palo bianco grande; i camini, i tetti, le finestre).

E poi c’è questa cosa che sopra i tetti non c’è il cielo, bensì il bosco, che sale in verticale sino a quando non incontra il cielo vero e proprio. Probabilmente è proprio questo a dare all’insieme un certo senso di pace. La cultura si agita, erige monumenti, restaura palazzi; ma qui la natura sembra avvolgerla, quasi abbracciarla, davanti e dietro, a sinistra e a destra, smorzando nella sua lentezza quella frenesia.

Non so. La vogliamo prendere come una metafora del Rinascimento, un po’ come la statua di Vittorino?

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Di una foto verso l’alto, con le lampadine

Le lampadine

Le lampadine

Di questa foto (catturata qui) mi piace il grande corridoio diagonale di azzurro contro il bianco in basso a destra, la luce di riflesso che da quel bianco fa risplendere il sotto del cornicione, e i colori di quel muro a sinistra, con le verticali della lesena e del tubo e le orizzontali delle modanature e delle file di mattoni che emergono appena sotto l’intonaco in via di scomparsa.

Però quello che davvero mi innamora è la fila delle lampadine, che non si sottrae del tutto alla geometria dell’insieme, però la reinterpreta a modo suo, più vivace e incostante, e a un certo punto gioca anche di ambiguità con gli isolanti elettrici lungo la parete.

Anche per la loro forma, sono tante piccole campane di luce. Non ne sentite il suono? Anzi, meglio: non ne vedete il suono?

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Di una foto più complicata di quello che sembra

Lo sdraio blu

Lo sdraio blu

Sì, lo so che nella mia anima di fotografo c’è Luigi Ghirri. Il punto è che c’era ancora prima che io sapessi della sua esistenza. Avrei fotografato così anche senza sapere di lui. Probabilmente avremo guardato le stesse cose; siamo cresciuti con lo stesso immaginario visivo; ritagliamo il mondo in maniera abbastanza simile. Poi lui è Ghirri e io no, e non ci si mette in competizione con un mito.

Qui, io trovo che a dar senso a questa foto ci sia la colonna di sinistra, col cancello aperto e il suo nero che si incrocia all’angolo con il nero della buchetta della posta (ma anche il verde scuro in basso fa la sua parte, con le sue linee orizzontali e verticali, proprio come il cancello). Questo montante, nel suo insieme, allude a una prima soglia, a un al di qua dove sto io che fotografo.

Poi, la fila dei massi bianchi definisce una seconda soglia, tra ciò-che-è-un-po’-meno-al-di-qua e la spiaggia. Proprio dove i sassi lasciano il varco, c’è lo sdraio blu, che è il protagonista di questa storia, e, ai suoi lati, le due sentinelle, o alari; comunque gli oggetti più interessanti in scena, quasi metallici nella loro rigida geometria.

La terza soglia non si vede, ma gli ombrelloni e lo sdraio, che stanno necessariamente sulla spiaggia, la rende implicita e necessaria. La quarta soglia è l’orizzonte, la cui orizzontalità espande quella già accennata dal cancello e dal bidone verde a sinistra; ma è anche ripresa dagli ombrelloni.

La foto non è immobile. C’è un movimento dello sguardo che va dalla colonnina a sinistra bianca e nera alla diagonale dello sdraio blu sino al punto rosso nel mare a destra. Lo sdraio blu è l’unico oggetto non ortogonale. Il punto rosso l’unico oggetto di un colore caldo. Blu e rosso sono i due colori più netti e forti presenti in scena, e lo sdraio è rivolto verso il punto rosso: chi vi si sedesse guarderebbe proprio là.

Ma allora i due ombrelloni diventano le quinte di una scena teatrale, il cui pubblico siede al di qua del cancello nero…

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Di un’altra foto di rami

I rami

I rami

Questi rami sono davvero diversi da quelli della scorsa settimana. Qui tutto va verso l’alto e la sua ascesa si ritrova tarpata. Ogni ramo porta in cima questo capitozzo, probabile frutto di ripetute potature.

Così, il reticolo formato da questi rami risulta un po’ spettrale, vagamente inquietante.

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Di una foto con linee di tendenza

Linee di tendenza

Linee di tendenza

Naturalmente anche il posto non è niente male, e il difetto di questa foto è che non sfigurerebbe come cartolina, o immagine pubblicitaria; ma quello che davvero mi colpisce e mi piace di questa figura è la singolare corrispondenza tra il profilo delle montagne e quello dei rami della tamerice.

Anche se si tratta di due serie di oggetti completamente diversi, rami e profili hanno un andamento simile, si corrispondono, disegnano grafici simili sugli assi cartesiani dell’inquadratura.

E poi mi piace perché il chiaro sta sotto, e lo scuro sopra. Le immagini, per ciascuno di noi, diventano interessanti quando mostrano, o alludono, ad aspetti del mondo differenti da quelli ovvi.

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Di una foto di balconi e montagne

 

Balconi e montagne

Balconi e montagne

Capisco benissimo che questa foto (presa qui) possa non piacere. Anche il luogo specifico da cui è stata presa è piuttosto abominevole (come mostra chiaramente la veduta aerea in Google Maps), ma quello che c’è attorno è tutt’altro che privo di interesse. A me, di questa foto piace la corrispondenza tra le linee di luce e ombra della montagna e quelle dei balconi, che in qualche modo nega la prospettiva forte di questi ultimi.

A destra la regolarità, un po’ stolida, dell’architettura alberghiera; e a sinistra qualcosa che ora le corrisponde stranamente, e ora no. E la foto è comunque divisa in quattro…

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Di una foto di piccioni sul pentagramma

Piccioni sul pentagramma

Piccioni sul pentagramma

Magari la si può pure suonare.

(presa qui)

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Dalla timeline
di Daniele Barbieri

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